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giovedì 03 ottobre 2024
 
 

Siria, la pace che nessuno vuole

01/11/2013  I laboratori di Assad sono stati distrutti. Ma le armi chimiche restano, gli interessi dei Paesi confinanti pure e la pace è ancora lontana. Il ruolo di Usa e Russia.

Ieri, e per la terza volta quest'anno, le forze armate di Israele hanno colpito sul territorio della Siria. Il governo Netanyahu aveva avvertito che non avrebbe tollerato alcun trasferimento di armi, chimiche o "tradizionali", dalla Siria agli Hezbollah del Libano e ha mantenuto la parola: ieri i jet israeliani sono arrivati dal mare per colpire, nei pressi del porto di Latakia, una batteria mobile di missili anti-nave di fabbricazione russa.

L'episodio fa capire quanto intricata sia diventata la situazione della Siria e intorno alla Siria e quanto ancora lontane siano le prospettive di pace, nonostante che gli ispettori Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche (Opcw) abbiano annunciato che tutti gli impianti per la produzione di armi chimiche dell'esercito di Assad sono stati neutralizzati.

In Siria, a dispetto di due anni e mezzo di guerra civile e di 120 mila morti (metà dei quali civili), il regime di Bashar al Assad non pare intenzionato a cedere. Il fronte dell'opposizione democratica, peraltro, è più diviso che mai: ogni volta che si parla di trattative, questo o quel "fronte" si dissocia, mandando a monte qualunque prospettiva di tregua e facendo probabilmente un gran favore ad Assad. In ogni caso, l'opposizione è del tutto incapace di tenere a bada i gruppi armati che si ispirano ad Al Qaeda e che utilizzano senza scrupoli una strategia del terrore non dissimile da quella dei gruppi filo-governativi: solo qualche giorno fa un'autobomba è esplosa a Damasco uccidendo 50 civili.

Intorno alla Siria, si sono attenuati ma non placati i "giochi" per la supremazia in Medio Oriente. Di Israele si è detto, colpisce la Siria per tenere a bada il Libano e le formazioni armate degli sciiti. Arabia Saudita e Qatar continuano a finanziare l'insurrezione contro Assad, anche per mettere in crisi l'Iran che invece l'appoggia, trovandosi però a rivaleggiare con la Turchia di Erdogan, che ha impugnato la bandiera della rivolta sunnita proprio per contendere all'Arabia Saudita la palma di Paese leader della regione.

Tutti costoro speravano nell'intervento armato che gli Usa hanno prima minacciato e poi revocato. Intervento che ora, con gli impianti chimici di Assad fuori uso, si allontana a dismisura. Cosa di cui sta cercando di approfittare il nuovo presidente iraniano Rohani, che ha preso a parlare con Obama in un inedito dialogo diplomatico che riguarda anche lo sviluppo dell'energia nucleare in Iran.

Spettatori interessati e ormai quasi disperati sono Libano e Giordania, vasi di coccio tra tanti vasi di ferro. In Libano si sono ormai installati più di 800 mila profughi siriani (quelli, almeno, ufficialmente registrati) e il conflitto del Paese confinante è sempre in procinto di trasferirsi anche dalle parti di Beirut, come i frequenti scontri tra sunniti e sciiti dimostrano. In Giordania i profughi siriani sono 1 milione e 300, più di un sesto della popolazione autoctona, e il Paese è sull'orlo del collasso.

Servirebbe con urgenza una solida tregua, se non una pace, per provare a rammendare almeno alcuni degli strappi più vistosi. Ma nessuno dei Paesi citati sembra volerla, perché tutti sperano di volgere in qualche modo la situazione a proprio favore. Un'illusione. Gli unici che possono pensare di guadagnarci qualcosa sono Israele (perché la crisi siriana di fatto tiene bloccati i suoi più temibili avversare, l'Iran e gli Hezbollah del Libano), Assad (perché pochi mesi fa era minacciato addirittura dagli Usa e ora non più) e la Russia (perché ha sempre sponsorizzato Assad). Di sicuro, quelli che ci rimettono sempre sono i cittadini della Siria.

  

 
 
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