Nella Siria ridotta in macerie, devastata da otto anni di conflitto, la speranza, nonostante tutto, non è morta. Ora il 70 per cento del territorio è tornato sotto il controllo delle forze governative. In alcune zone, come a Idlib, si continua ancora a combattere, in altre si riaccendono ogni tanto dei focolai di guerriglia. I dati raccontano un Paese ancora in forte emergenza umanitaria: oltre 12 milioni di persone sono state costrette a fuggire dalle loro case; i profughi nei Paesi vicini, come Libano e Giordania, sono più di 5 milioni e mezzo. «Eppure, la gente che non ha abbandonato il Paese ha una voglia incredibile di rialzarsi in piedi, rimboccarsi le mani, riprendere in mano la propria vita». Tornare, pian piano, a una parvenza di normalità quotidiana. Riccardo Sansone, 49 anni, responsabile dell’Ufficio aiuto umanitario della Ong Oxfam Italia, è rientrato da poco da una missione in Siria per verificare i progetti in corso e monitorare la situazione sul campo.
«A Dar’a, città vicina al confine con la Giordania, noi di Oxfam abbiamo incontrato i beneficiari dei nostri interventi, i rappresentanti di almeno una decina di famiglie. Ci hanno accolto con un calore straordinario. Era il periodo del Ramadan, loro facevano digiuno, ma a noi cooperanti hanno offerto l’acqua da bere». Quell’acqua potabile che, grazie agli interventi idrici della Ong, oggi tante persone di Dar’a possono finalmente raccogliere, bere, usare per l’igiene personale. L’accesso all’acqua pulita è alla base di qualunque attività, indispensabile per sopravvivere. «Oxfam in Siria», spiega ancora Sansone, «è impegnata in otto zone, copre quasi tutto il Paese. Come Oxfam Italia noi operiamo nel governatorato di Rural Damasco (la zona rurale vicina alla capitale), in quello di Dar’a e nel governatorato nord-orientale di Deir-ez-Zor». Fondamentali e urgenti, racconta il cooperante, sono gli interventi per la riabilitazione delle strutture idriche, per l’accesso all’acqua pulita, i programmi igienico-sanitari e di prevenzione delle malattie: all’interno del Paese intere comunità e quartieri cittadini sono privi di servizi sanitari, hanno acqua corrente e luce solo poche ore al giorno. A Dar’a, dove metà della popolazione è sfollata, il sistema idrico è stato in parte distrutto e l’acqua è molto costosa. Il rischio di contrarre malattie come tifo e colera, a causa dell’uso di acqua sporca e contaminata, è molto elevato.
Un’altra serie di progetti sul campo prevede il sostegno al reddito per le famiglie più vulnerabili, prive di mezzi di sussistenza, attraverso l’erogazione di piccoli finanziamenti mensili che permettono loro di sopravvivere. Un aiuto indispensabile in un Paese dove quattro persone su cinque vivono in povertà.
«Nel governatorato di Deir-ez-Zor abbiamo incrementato la fornitura quotidiana di pane per rispondere ai bisogni alimentari immediati riattivando due forni e panifici comunitari. Questo permette di affiancare all’intervento sulla sicurezza alimentare lo sviluppo di piccole attività produttive generatrici di reddito». La fase della risposta all’emergenza non è ancora terminata, la vulnerabilità è ancora grave e diffusa. Ma in varie zone ci sono le condizioni per promuovere progetti post-emergenziali, di prima ripresa.
«A Dar’a le persone locali che abbiamo incontrato ci dicevano: “Grazie per averci portato l’acqua potabile. Ma oggi abbiamo bisogno di ricominciare a lavorare e guadagnare qualcosa. Non vogliamo essere continuamente dipendenti dagli aiuti umanitari. Aiutateci a tornare a essere autonomi”. Un signore anziano ci ha offerto un vassoio pieno di bicchieri d’acqua, quella portata da Oxfam. Sua figlia ci ha chiesto di poter avere una macchina per cucire, per ricominciare a produrre e avere un piccolo reddito».
A Dar’a i giovani se ne sono andati. «Noi abbiamo incontrato anziani, bambini e soprattutto donne. Il 30 per cento delle famiglie siriane oggi ha un capofamiglia donna». È chiaro che il ruolo femminile nella società siriana è diventato centrale e i progetti di intervento mirano anche al rafforzamento delle donne e delle madri. «Da qualche tempo, poi, si assiste a un fenomeno di ritorno: un certo numero di profughi accolti nei campi per rifugiati in Libano e in Giordania hanno deciso di tornare a casa».
Riccardo Sansone è ingegnere, lavora per Oxfam da vent’anni, si è sempre occupato di Medio Oriente, da alcuni anni anche del Corno d’Africa. «Io sono cresciuto a Firenze, mio padre è napoletano», racconta, «mia madre era di Fiume, è stata sfollata in un campo profughi a Napoli per dodici anni. Il destino ha voluto che io mi sia ritrovato a lavorare per i profughi e i rifugiati. Ma ho realizzato questo legame solo pochi anni fa, quando un palestinese mi ha fatto notare che, in fondo, lui e io eravamo uguali».
Le missioni sul campo «ti danno un’energia enorme, perché vedi i risultati del tuo impegno». E aggiunge: «In Siria ho trovato nella sofferenza un’umanità straordinaria. I siriani sono persone fiere e dignitose. Ci chiedono di aiutarli a risollevarsi e tornare a camminare sulle loro gambe».
Foto Reuters