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martedì 22 aprile 2025
 
 

Siria, silenzio sulle stragi di Assad

15/06/2011  Guerra contro Gheddafi, tolleranza verso Assad. Ma basta dare un'occhiata alla cartina geografica per capire perché. L'ombra degli Usa.

Migliaia di morti, città prese sotto i cingoli dei carri armati, donne e bambini nel mirino dei fucili dell’esercito, villaggi rastrellati. Perché, allora, si parla poco di ciò che accade in Siria? Perché siamo stati così tanto toccati dalle repressioni in Egitto e Tunisia, per non parlare della Libia, e così poco dalle sofferenze dei siriani sotto il tallone del regime? L’unica conclusione logica è questa: nessuno, fuori dalla Siria, vuole davvero la fine del regime di Bashar Assad.

     Ben Alì in Tunisia è stato spazzato via in un attimo. Hosni Mubarak in Egitto ha resistito più a lungo, ma così facendo ha solo impedito ai suoi di riciclarsi. Di Gheddafi sappiamo tutto: contro la sua Libia si è mobilitato un robusto pezzo delle armate di  Occidente (Usa, Italia, Francia, Gran Bretagna…) e Medio Oriente (Qatar). Contro Assad, invece, niente. E lui, capo di un regime palesemente incapace di rispondere a una popolazione giovane (22 milioni e mezzo di persone per il 35% sotto i 14 anni), istruita (11 anni di scuola in media per persona, e il 5% del budget dello Stato speso per l’istruzione) e inferocita (il 12% della popolazione vive sotto la soglia della povertà), può continuare a sparare sulla gente, certo che nessuno interverrà per farlo smettere.

     Un'occhiata alla cartina

     Un mistero? Per nulla. Basta dare un’occhiata alla cartina, e alla situazione dei Paesi confinanti, per capire perché. La Turchia pratica da anni la politica “zero problemi con i vicini”, il premier Erdogan ha in ballo grosse sfide interne (cambiare la Costituzione in senso presidenziale, mantenere il forte ritmo della crescita economica, da anni oltre il 7%) e la voglia di veder saltar per aria il regime di Damasco, con tutte le conseguenze, è pari a zero. Analogo discorso vale per l’Iraq, che di problemi ne ha a pacchi e, in più, è pressato a Est dall’Iran.

     A Sud, la Giordania della monarchia hascemita pare aver superato la fase acuta della contestazione popolare ma vive in precario equilibrio e deve ancora capire due cose: quali effetti produrrà il patto tra le fazioni palestinesi di Hamas e Al Fatah e quali conseguenze esso potrà avere sulla popolazione giordana, al 65% di origine appunto palestinese.

   

     L'ombra degli Usa

     A Ovest ci sono Israele e Libano. Israele ha mostrato di preferire le dittature dei vari Mubarak, Ben Alì e Gheddafi alla prospettiva di una stagione di tumulti e novità comunque imprevedibili. Il nemico noto è meglio di quello ignoto, e il discorso calza a pennello su Assad, nemico sì ma poco pericoloso. Il Libano: Hezbollah ha da sempre un buon rapporto con il regime di Assad (gran fornitore di armi e ottimo tramite con l’Iran) ma negli ultimi anni anche il fronte filo-occidentale e filo-saudita guidato da Saad Hariri era riuscito a costruire un modus vivendi accettabile con gli ex occupanti siriani. In ogni caso i fragili equilibrii che regnano a Beirut (dove è stato formato un Governo dopo sei mesi di vuoto e dove è stato da poco eletto il nuovo patriarca maronita, Bishara al Rai, già vescovo di Byblos) tutto fanno desiderare tranne che il tracollo della Siria di Assad.

     Su tutti, poi aleggia l’ombra degli Usa. La Casa Bianca ha troppe partite aperte in Medio Oriente (Tunisia, Egitto e Libia, i colloqui di pace tra Israele e palestinesi, la precaria sopravvivenza del regime sunnita in Bahrein e l’impegno militare dell’Arabia Saudita per sostenerlo, la probabile fine del regime dello Yemen, da anni fedele agli Usa) per volersi occupare anche della Siria. Tutto sommato, meglio che Assad resti al potere, almeno in questa fase. Una frammentazione del Paese, quasi certa in caso di collasso del regime, rischierebbe di volgersi a favore dell’Iran, in un effetto domino che potrebbe poi travolgere anche l’Iraq e la Giordania, di fatto due protettorati americani.

     Dunque, silenzio. A quanto pare, il desiderio di libertà e benessere dei siriani non merita un'azione internazionale. Nemmeno da parte dei media.

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