Contribuisci a mantenere questo sito gratuito

Riusciamo a fornire informazione gratuita grazie alla pubblicità erogata dai nostri partner.
Accettando i consensi richiesti permetti ad i nostri partner di creare un'esperienza personalizzata ed offrirti un miglior servizio.
Avrai comunque la possibilità di revocare il consenso in qualunque momento.

Selezionando 'Accetta tutto', vedrai più spesso annunci su argomenti che ti interessano.
Selezionando 'Accetta solo cookie necessari', vedrai annunci generici non necessariamente attinenti ai tuoi interessi.

logo san paolo
lunedì 16 settembre 2024
 
 

Siria, ormai è guerra civile

09/02/2012  A un anno dall'inizio delle proteste, la repressione di Assad ha generato una vera guerra civile. I patteggiamenti tra le potenze per il "dopo".

Da un anno, ormai, il popolo della Siria è tenuto in ostaggio da una trattativa internazionale che, anche quando si ammanta di ragioni ideali, è in realtà indifferente alla sorte delle persone. Sono ormai più di 5 mila le vittime della repressione (e almeno 150 nelle ultime ventiquattro ore) scatenata dal presidente Bashar al Assad contro la protesta.


     Un atteggiamento, oltre che immorale, insensato perché le richieste, nella fase iniziale della protesta, erano davvero molto moderate: nessuno chiedeva un cambio radicale di regime ma solo vere elezioni per il Parlamento e la fine dei processi militari anche a carico dei civili. Molto meno, per fare un esempio, di quanto le monarchie della confinante Giordania e del più lontano Marocco hanno spontaneamente concesso ai loro sudditi.

     La degenerazione violenta del regime autoritario di Assad ha stravolto la situazione: ora la Siria è preda di una vera guerra civile; l'esercito regolare spara sui civili ma deve anche fronteggiare un sempre più folto e organizzato "esercito di liberazione", che da mesi ormai gode dell'aperto supporto della Turchia; sempre più numerosi sono i civili siriani che si attrezzano non solo a sfuggire alla repressione ma anche a rispondere al fuoco.

        Parte di queste sofferenze si sarebbero potute evitare se la comunità internazionale non avesse deciso di lasciare il popolo della Siria al proprio destino e di aspettare, secondo convenienza: i Paesi occidentali ad attendere la caduta di Assad, per raccogliere i cocci e il dividendo politico senza rischiare nulla; Russia e Cina a sperare che Assad resista, per "dare una lezione" agli Usa e mantenere qualche rendita di posizione, che per la Russia sta soprattutto nelle armi che vende ad Assad (4 miliardi di euro l'anno) e nella base navale di Tartous, l'ultima che le è rimasta in Medio Oriente.

        Bisogna dunque guardare con attenzione nelle divisione manichea "buoni" e "cattivi" dello schieramento internazionale. Gli Usa ora minacciano addirittura l'intervento armato in Siria. Ma quanto sono credibili, dopo che hanno tranquillamente appoggiato l'esercito dell'Arabia Saudita, invitato dal regime del Bahrein a sparare sui dimostranti che, proprio come quelli siriani, chiedevano solo un po' più di democrazia? E la Russia, con la sue finte questioni di principio?

     Nella realtà, nessuno più crede che Assad, odiato dal suo popolo e squalificato agli occhi del mondo, abbia un futuro come leader della Siria. Le minacce di intervento, le risoluzioni bloccate all'Onu, le mosse della diplomazia ora sono solo i tasselli di una trattativa che, appunto sulla pelle dei siriani, già prova a definire il dopo e a distribuire vantaggi e svantaggi per le potenze interessate. Russia e Cina provano a limitare i danni, essendo da anni schierate con la parte perdente; gli Usa tentano di incrementare il profitto, essendosi già rafforzati in Tunisia, in Libia e parzialmente in Egitto, avendo turato le falle nei Paesi del Golfo Persico e comunque essendo saldamente presenti in Giordania.

    C'è un solo Paese che, almeno dal punto di vista politico, esce "vincitore" da questa crisi: la Turchia. Si è schierata subito dalla parte delle proteste (non solo siriane) e ora appoggia l'esercito di liberazione ostile ad Assad. Per milioni e milioni di arabi moderati è il nuovo modello di Stato islamico, democratico e funzionante dal punto di vista economico. Il premier Erdogan, che è piuttosto astuto, saprà approfittarne.

     

I vostri commenti
2

Stai visualizzando  dei 2 commenti

    Vedi altri 20 commenti
    Policy sulla pubblicazione dei commenti
    I commenti del sito di Famiglia Cristiana sono premoderati. E non saranno pubblicati qualora:

    • - contengano contenuti ingiuriosi, calunniosi, pornografici verso le persone di cui si parla
    • - siano discriminatori o incitino alla violenza in termini razziali, di genere, di religione, di disabilità
    • - contengano offese all’autore di un articolo o alla testata in generale
    • - la firma sia palesemente una appropriazione di identità altrui (personaggi famosi o di Chiesa)
    • - quando sia offensivo o irrispettoso di un altro lettore o di un suo commento

    Ogni commento lascia la responsabilità individuale in capo a chi lo ha esteso. L’editore si riserva il diritto di cancellare i messaggi che, anche in seguito a una prima pubblicazione, appaiano  - a suo insindacabile giudizio - inaccettabili per la linea editoriale del sito o lesivi della dignità delle persone.
     
     
    Pubblicità
    Edicola San Paolo