In Siria si contano ormai a centinaia le vittime da quando, un mese fa, sono cominciate le manifestazioni di protesta contro il regime della famiglia Assad. A nulla sono valse, almeno per ora, le concessioni che il giovane presidente Bashir al Assad, 36 anni, salito al potere nel 2000 al posto del fratello Basil, l'erede designato morto in un incidente automobilistico nel 1994.
Le forse di sicurezza del regime siriano sembrano ancora saldamente al suo fianco ma il prezzo pagato alla sopravvivenza del regime si fa sempre più atroce. Nei giorni scorsi, e in particolare nel "venerdì nero", sono state uccise oltre 100 persone nelle dimostrazioni seguite alla preghiera in moschea. Epicentro della protesta la città di Daraa, nel Sud, quasi al confine con la Giordania, e Douma, un popoloso sobborgo di Damasco.
Il caso di Daraa è significativo. La città è il capoluogo di una regione la cui economia è basata sull'agricoltura. La causa scatenante delle dimostrazioni di piazza è stata la pessima gestione da parte delle autorità della siccità che ha messo in crisi l'intera zona e la corruzione diffusa tra i burocrati di Stato che trafficano con i titoli di proprietà dei terreni più fertili. Dalla paura di un impoverimento diffuso alla richiesta di maggiore democrazia, il passo è stato breve.
Ai tumulti di Daraa, oltre che con la violenza, il regime di Assad ha cercato di rispondere con alcune concessioni politiche, in primo luogo la rimozione del governatore regionale. Alla gente però non è bastato. Come sembra non bastare la piccola "svolta" riformista varata pochi giorni fa con l'abrogazione dello stato d'emergenza (in vigore dal 1963, cioè da quando il padre dell'attuale Assad prese il potere), lo scioglimento della Corte
suprema per la sicurezza dello Stato (tribunale speciale) e la
concessione del diritto di manifestazione pacifica.
I siriani non credono più al giovane Assad e continuano a scendere in piazza. La risposta del regime, a dispetto del diritto di manifestare, è ancora quella delle armi.
Padre Paolo Dall'Oglio, ordinato sacerdote nel rito siro-cattolico a Damasco nel 1984, a Mar Musa ha fndato la comunità "Al Khalil" per il dialogo islamo-cristiano e, con l'aiuto di grupi di volontari, ha ricostruito lo splendido monastero. Proprio in questi giorni, Jaca Book ha pubblicato un suo finissimo libro intitolato Innamorato dell'islam, credente in Gesù, che riflette la sua complessa esperienza. Padre Paolo è ovviamente un grande esperto della Siria.
- Che succede oggi in Siria? E soprattutto: che potrà succedere ancora?
"Un passaggio pacifico dei poteri mi pare francamente impossibile. L'unica cosa realistica, secondo me, è un processo di riforme graduali che consenta a tutte le forze vive del Paese di potersi esprimere".
- Con il presidente Assad?
"Il Presidente è, ancora oggi, sulla scena il solo capace di avviarlo, perché è il garante del consenso culturale nazionale. Cioè l'unico garante della natura araba e siriana, oltre che antisionista, di quel processo".
- A quando le vere riforme?
"La transizione è già in corso. si realizzerà più o meno rapidamente o profondamente nella misura in cui sarà compresa e aiutata dalle nazioni "volenterose", Europa compresa. Gli equilibrii dei Paesi a democrazia immatura dipendono molto, per esempio sul piano dei diritti civili, individuali e collettivi, dall'azione internazionale. Anche le scelte dei siriani dipendono dalla coerenza e trasparenza delle democrazia occidentali e dall'evoluzione in questo senso degli altri grandi poli mondiali: Iran, Russia e Cina innanzitutto. E questo riguarda dolorosamente anche l'Italia, che nel Mediterraneo ha molto da dire e da fare".
- I moti che scuotono il Medio Oriente, e in particolare ora la Siria, sono giounti inattesi per l'Occidente. E per voi?
"La miopia degli interessi capitalistici di basso profilo è ben nota a sociologi e storici. L'interesse bruto è sempre anche cieco. Come stupirsi, quindi, se i petrolieri faticano a capire che la Libia cambia, o i profittatori interni ed esterni dell'Egitto non si rendono conto che la gente non ce la fa più? Che la società siriana fosse piena di desideri e di ambizioni lo si sapeva da decenni, da sempre direi. La Siria è un Paese di grande civiltà e cultura, non ci si può aspettare dai siriani un'eterna passività".