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martedì 18 marzo 2025
 
 

Siria, Assad gioca la carta della fede

31/07/2011  La repressione si intensifica ma la protesta non cede. Così Assad punta sulle divisioni religiose e sull'arrivo del Ramadan.

Nel 1982 il presidente Afez al Assad, padre dell’attuale presidente Bashar, mandò l’esercito ad Hama per stroncare la rivolta dei Fratelli Musulmani. Ci furono migliaia di morti e la città fu quasi rasa al suolo. Comandava le truppe Rifaat, fratello del Presidente. Oggi la storia si ripete: Bashar al Assad ha mandato il fratello Maher, comandante della Quarta Divisione (uno dei reparti d’élite dell’esercito siriano) a massacrare i cittadini di Hama che da mesi protestano contro il regime.

     Pochi giorni prima lo stesso trattamento (carri armati e mitragliatrici per le strade, cecchini sui tetti a sparare ai civili) era toccato a un’altra città, Homs, con altre decine di morti. Il conto dei caduti nella repressione sta ormai rapidamente salendo verso le 2 mila vittime (con oltre 15 arresti e circa 3 mila persone scomparse). Ma la differenza tra le manifestazioni del 1982 e queste del 2011 è abissale. Come in tutto il resto del Medio Oriente, la sollevazione in Siria non ha radici religiose, né moderate né estreme. Dopo le violenze sulla popolazione di Homs, al contrario, si sono svolti cortei al grido di “Musulmani, cristiani e alawiti uniti”. E molti autorevoli esponenti alawiti (gli alawiti, un ramo dello sciismo, fanno risalire le loro origini all’undicesimo imam sciita, Hasan al Askari; è alawita tutto il clan degli Assad, n.d.r) hanno condannato gli attacchi e i saccheggi contro i negozi dei sunniti.

   

E’ proprio il regime di Assad, al contrario, a giocare la carta religiosa. Munzer e Fawwas, cugini del Presidente, hanno organizzato e scatenato per le strade bande di shabiha, un incrocio tra i miliziani e i teppisti, al preciso scopo di vandalizzare le imprese commerciali dei sunniti, che sono il cuore della protesta. L’idea è di mettere tutti contro tutti (sunniti contro alawiti e cristiani) sfruttando appunto le divisioni etniche e religiose, per nascondere il vero nodo: il contrasto ormai insanabile tra la borghesia commerciale e imprenditoriale della Siria, che è in maggioranza sunnita (un tratto in comune con il vicino Libano), e l’apparato dello Stato che è alawita.


     Efficienza contro parassitismo, mercato contro garanzie di clan, produzione contro rendite. Uno scontro che può solo acuirsi, visto che la fuga di capitale dalla Siria ha raggiunto i 20 miliardi di dollari, il giro d’affari del commercio è dimezzato, la produzione indutriale anche e la disoccupazione ovviamente sale. Il che fa saltare quella specie di patto sociale che le due parti avevano stipulato tempo addietro: tu comandi e io guadagno, a te il potere politico e a me quello economico.

     Sempre per rimanere alla questione religiosa: ora Assad conta, oltre che sulla violenza di esercito e milizie, anche sull’arrivo del Ramadan, che nei Paesi musulmani tradizionalmente comporta un rallentamento di ogni attività diurna. Quest’anno il mese del digiuno  e della preghiera capita in piena estate, con temperature ben oltre i 40 gradi e l’obbligo di astenersi da cibo e bevande durante l’intera giornata. Il che è un’ulteriore, oggettiva, difficoltà per le iniziative del fronte di protesta.

     Resta però un fatto: a dispetto dei sistemi crudeli adottati dal regime e dell’indifferenza della comunità internazionale, la contestazione contro Assad e il suo Governo è sempre cresciuta, e tra le grandi città siriane quelle calme e inerti sono ormai pochissime anche se importanti: in sostanza, la capitale Damasco e Aleppo. Riuscirà il Ramadan dove non sono riusciti i suoi cecchini e carri armati?

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