In Siria il massacro va avanti, sotto gli occhi del mondo, davanti all'impotenza - o alla scarsa determinazione nonostante i buoni propositi - della comunità internazionale, a partire dall'Unione europea e gli Stati Uniti. Nel Paese mediorientale continua la sanguinosa guerra civile fra le forze governative di Bashar al-Assad e le forze ribelli, riunite nel Consiglio nazionale dell'opposizione, che chiedono la fine del regime e l'avvio di nuovo corso politico. I dati diffusi dalle Nazioni Unite fanno rabbrividire: a causa delle violenze interne, 3 milioni e 600 mila siriani sono sfollati all'interno del Paese.
Nel giro di soli due mesi un milione e 100 mila civili sono stati costretti ad abbandonare le loro case. L'Alto commissario delle Nazionim unite per i rifugiati (Unhcr), Antonio Guterres, ha rivelato che, se nell'aprile del 2012 i rifugiati siriani nei Paesi della regione erano 33mila, oggi i profughi in Medio Oriente e in Nord Africa sono arrivati a 940mila. Una cifra gigantesca, che fotografa con forza la gravità dell'emergenza.
La Siria è sulla strada della totale distruzione, ha dichiarato all'Ansa Radhouane Nouicer, coordinatore a Damasco degli aiuti umanitari dell'Onu. Il quale ha anche denunciato le promesse non mantenute dalla conferenza dei donatori tenuta in Kuwait a fine gennaio: Emirati Arabi, Kuwait e Arabia Saudita avevano promesso in totale 900 milioni di dollari di fondi, ma «solo 200 milioni sono stati effettivamente inviati all'Onu».
Promesse e buoni propositi, ma ancora ben distanti da una soluzione concreta. A fine febbraio Roma ha ospitato il vertice dei Paesi Amici della Siria e i rappresentanti riconosciuti dell'opposizione siriana. In questa sede il capo della Coalizione nazionale siriana Moaz al-Khatib ha chiesto all'Occidente di «guardare al sangue dei bambini siriani», e non alla «lunghezza della barba dei combattenti ribelli», sfatando la paura occidentale che l'opposizione si ispiri al fondamentalismo islamico. Questo timore, infatti, è uno dei problemi che frenano un intervento concreto e deciso da parte della comunità internazionale.
Al vertice di Roma l'Italia e gli altri Paesi amici si sono impegnati a prendere misure serie nei confronti dell'opposizione siriana. Ora resta da vedere che cosa, concretamente, sarà fatto. L'impressione è che l'Occidente stia usando con Damasco una cautela eccessiva. E intanto, mentre europei e americani si prendono il loro tempo per riflettere, vagliare, misurare, in Siria si continua a morire.
«Il conflitto siriano è sempre sulle prime pagine dei media arabi, fra le notizie principali dei canali come Al Jazeera e gli altri satellitari. In Europa, invece, ci ricordiamo ogni tanto di questa tragedia, ma poi la lasciamo lì, abbandonata a sé stessa». A parlare è Shady Hamadi, giovane attivista per i diritti umani in Siria, figlio di un ex dissidente siriano esule in Italia e di una italiana. Fin dall'inizio della rivoluzione, Hamadi si è impegnato in prima persona nel denunciare i massacri dei civili da parte del regime e invocare un coivolgimento diretto della comunità internazionale, e in particolare dell'Europa, per una risoluzione del conflitto.
Shady, come vedi la situazione in questo momento in Siria?
«Il problema più grande è stato la disorganizzazione politica dell'opposizione. Il problema è che più si dilata nel tempo lo stato di abbandono più si estende il rischio che nasca e proliferi il fondamentalismo. Io credo che abbiamo due rivoluzione da fare: la prima è quella contro il regime, la seconda sarà quella di combattere contro l'estremismo che è un fattore esogeno al nostro Paese, frutto della politica del regime che è sempre stata volta alla disintegrazione del tessuto sociale siriano, ma frutto anche del disinteresse occidentale verso la Siria. Questa situazione fa sì che trovino terreno fertile le correnti estremiste, certamente minoritarie, ma alle quali gli occidentali danno grande risalto».
La comunità internazionale ha paura della deriva fondamentalista...
«L'Occidente condanna l'estremismo, ma non il regime di Assad. Un esempio, tempo fa gli Usa hanno inserito nella lista delle organizzazioni terroristiche il Fronte Jhabat al-Nusra, una delle organizzazioni che combattono contro il Governo. Gli attivisti hanno risposto: perché gli Stati Uniti non condannano le azioni di Assad? Quello allora non è terrorismo? Il fatto è che l'Occidente ha paura del dopo per la Siria e si preoccupano della situazione delle minoranze. Di fatto, però, in molte parti della Siria le minoranze convivono perfettamente. Credo che si debba aprire un dibattito serio sulla questione del massacro di civili che continua a essere perpetrato. I siriani dell'opposzione si lamentano di come vengono rappresentanti all'estero: Moaz al-Khatib, capo della Coalizione nazionale siriana, al summit di Roma lo ha detto chiaramente».
Sei tornato recentemente in Medio Oriente?
«Sono stato in Libano a marzo dello scorso anno. Ho visto un completo stato di abbandono. A Tripoli c'era un ospedale clandestino che non aveva alcun tipo di sostegno umanitario e doveva anche difendersi dalle autorità libanesi: il Governo libanese infatti è filo-Assad, e questo complica le cose. Nella valle di Wadi-Khaled, all'interno del territorio libanese a ridosso della Siria, spesso le truppe siriane hanno sconfinato tranquillamente per operare dei sequestri. Nei campi profughi sono morte persone assiderate, al confine con Turchia ho visto campi profughi allagati. Mancano i rifornimenti e i mezzi di sussistenza».
Perché non si riesce ad arrivare a una soluzione politica, a un accordo tra le parti?
«Perché nella sua dialettica di regime Assad non ha mai riconosciuto l'altra parte, gli oppositori che chiedono riforme, non ha mai voluto riconoscere la rivoluzione in atto. Questo non solo adesso, lo abbiamo già visto in passato, nel 2001 quando degli intellettuali portarono delle richieste ad Assad pensando che fosse migliore del padre. Non c'è mai stata una reale volontà riformatrice da parte del regime. Penso che una soluzione politica si potrebbe trovare se ci fosse la volontà di persone come Farouk al-Sharaa, il vice-presidente, di intavolare trattative con l'opposizione, ma è difficile che accada. Questo anche a causa del coinvolgimento diretto e delle pressioni dell'Iran a sostegno del regime di Damasco, che preoccupano l'Occidente. C'è stata anche una cecità da parte dell'Unione europea nel mettere in campo un'azione comune. Anche le autorità palestinesi, al-Fatah e Hamas, filo-Assad, hanno aspettato oltre un anno per condannare il massacro in corso in Siria e cambiare la loro posizione. Ma l'opinione pubblica che condanna le uccisioni di palestinesi ad opera di Israele, perché non condanna allo stesso modo le morti dei palestinesi all'interno della Siria per mano del regime? Con la Siria e il regime di Assad si usano sempre due pesi e due misure».
Basta violenza sui bambini siriani. Il 14 marzo 2013, vigilia del secondo anniversario della guerra civile in Siria, Save the children diffonde un rapporto con le testimonianze dirette dei minori costretti ad abbandonare le loro case e a vivere da profughi, in condizioni di miseria, pericolo, terrore. L'organizzazione umanitaria lancia una petizione internazionale da presentare alle Nazioni Unite affinché venga al più presto concordato un piano che assicuri la fine delle violenze e l'accesso agli aiuti umanitari in particolare per i più piccoli. Savhe the children vuole così dare voce ai bambini siriani, vittime inascoltate di un conflitto che ha trascinato il Paese ne baratro.
L'organizzazione ha raggiunto e assistito finora oltre 240mila persone, all'interno della Siria e nei campi profughi allestiti in Giordania, Libano e Irak. Già in occasione del summit a Roma dei Paesi Amici della Siria, Save ther children aveva lanciato un appello a rispondere con protenzza all'emergenza dei minori, fra i quali stanno dilagando malattie come la diarrea, a causa delle condizioni igienico-sanitarie pessime e della mancanza di ospedali ancora funzionanti. La petizione può essere firmata, fino al 15 marzo, all'indirizzo web: www.savethechildren.it/firma.
Anche Medici senza frontiere, in occasione della Conferenza dei donatori per la Siria a Kuwait City, ha levato la sua voce denunciando un forte squilibrio nell'assistenza internazionale al Paese. Secondo l'organizzazione, infatti, le zone sotto il controllo governativo ricevono la quasi totalità degli aiuti, mentre solo una piccola parte di quelle controllate dall'opposizione sono destinatarie di soccorsi. Msf è una delle poche organizzazioni che assistono le regioni controllate dalle forze di oppozione. Negli ultimi mesi l'associazione ha aperto tre ospedali nel Nordovest del Paese dove ha effettuato più di 900 interventi chirurgici. In generale, il soccorso sanitario passa attraverso il Comitato internazionale della Croce Rossa e le agenzie della Nazioni Unite che lavorano in collaborazione con la Mezzaluna Rossa, la sola organizzazione autorizzata dal Governo di Damasco all'assistenza della popolazione.
L'Unicef è presente in Siria fin dall'inizio della crisi, operando su vari fronti: sanità, acqua e igiene, nutrizione, istruzione, protezione dell'infanzia. Fino ad oggi nel Paese sono stati vaccinati 1,3 milioni di bambini contro il morbillo ed è stato assicurato il sostegno psico-sociale a oltre 32mila minori.