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mercoledì 11 settembre 2024
 
 

Smartphone: cose dell'altro mondo

25/09/2012  Tutti pazzi per i telefoni cellulari dell'era digitale, che si collegano al web e ai social network, dove l'iPhone ha cambiato le regole del gioco. Il rischio di una tecno-dipendenza.

Da quando si e’ diffusa la notizia mi stanno facendo impazzire” dice Daniel Swartz manager del negozio dell’AT&T di Medford, Massachusetts. E come lui probabilmente stanno impazzendo tutti i suoi colleghi negli oltre 2,200 punti vendita che il principale operatore di telefonia mobile americano (a pari merito con il concorrente Verizon) possiede negli Stati Uniti. La “notizia” e’ l’uscita dell’iPhone5: un normalissimo aggiornamento di un ormai normalissimo e diffusissimo prodotto, lo smartphone, da parte dell’Apple, azienda leader del settore. Eppure quello che in qualsiasi altro campo non sarebbe altro che un comunicato stampa riportato da riviste specializzate qui ha dominato le aperture di tutti i telegiornali radio e TV, i giornali, i siti web, i blog e soprattutto l’ancora imbattibile (fisico o digitale che sia) passaparola. Inevitabile, e prevista, la pioggia di telefonate, anche perche’ racconta Swartze’ successa esattamente la stessa cosa prima dell’uscita dell’iPhone 2, 3 e 4.

Swartz inizio’ a lavorare nel negozio che oggi dirige – all’incrocio di tre sobborghi di Boston ne troppo ricchi ne troppo poveri – 7 anni fa, quando l’unico smartphone (che non si chiamava nemmeno cosi’) era il Blackberry, usato fondamentalmente da chi viaggiava per affari e aveva bisognodi controllare spesso l’email. Prima c’erano i computer palmari, che all’inizio degli anni 2000 entusiasmarono gli appassionati del settore ma che in realta’ non decollarono mai del tutto. Al tempo l’America era ancora indietro in quanto a telefonia cellulare, con una rete piena di “buchi” (alcuni a tutt’oggi non ancora tappati) e una penetrazione dei cellulari sul mercato che superava di poco i due terzi. Nel dicembre 2006 infattii “subscribers” (gli abbonati) erano 230 milioni circa su una popolazione che considerando gli immigrati illegali superava di gran lunga i 320.

“L’iPhone ha cambiato totalmente le regole del gioco” ricorda Swartz un 35 enne dalla battuta pronta, la risposta rapida, e senza quella eccessiva, spesso falsa, gentilezza dei venditori americani. “A fare la differenza e’ stato il poter usare telefono per una serie di operazioni che primasi potevano fare solo con il computer, ed altre che non si potevano fare neanche con quello come scattare foto e girare video … il tutto toccando lo schermo.” Da allora, quando l’intuizione geniale del compianto patron dell’Apple Steve Jobs presentata da lui stesso il 28 giugno 2007 (quella si’ che fu una notizia!) divento’ un oggettino – per quanto costoso (600 dollari al tempo) alla portata di tutti – lo smartphone (o telefono intelligente) e’ entrato in modo dirompente nella vita degli americani, tutti gli americani, come l’automobile, il forno a microonde o il personal computer avevano fato in passato, ma con una diffusione il cui ritmo non ha precedenti nella storia economica degli USA.

Lo smartphone dell’Apple, (che fino a quel momento aveva prodotto solo computer) prese subito piede, e tutti cominciarono ad imitarlo piu’ o meno legalmente (ne sa qualcosa la Samsung condannata due mesi fa a sborsare un miliardo di dollari per plagio e spionaggio industriale alla ditta di Cupertino) dando tanto per cominciare l‘ultima spinta al mercato dei cellulari – la cui penetrazione alla fine del 2011 era gia’ superiore al 100%: 330 milioni di abbonati circa su poco piu’ di 310 milioni di abitanti (legali) degli Stati Uniti, in altre parole piu’ di un cellulare a testa per un giro d’afffari che, ha garantito agli operatori oltre 170 miliardi di dollari in fatturato. Di questi dallo scorso maggio secondo stime Nielsen (l’oracolo piu’ affidabile della statistica commerciale USA)piu’dellameta’ sono smartphones, un sorpasso che prelude a una rapida e pressoche’ totale scomparsa dei “vecchi” cellulari copmpresi i “flip-phones” come qui chiamano i telefoni con lo sportellino a fronte.“Le aziende lo fanno apposta, per far passare la voglia alla gente di comprarli gliene fanno trovare sempre di meno, e rendono sempre piu’ problematica l’assistenza,” speigaSwartz. “In negozio ormai ne sono rimasti appena due o tre tipi e di questo passo prevedo che fra un anno non ce ne saranno piu’”.

Il trend, velocissimo e inarrestabile, ha fatto la fortuna ovviamente di Apple, della coreana Samsung appunto, che nonstante la recente batosta sembra tenere il passo, e nuovi operatori affacciatisi con successo su questo esplosivo mercato come la Cinese LG e la Taiwanese HTC, mentre rischia di segnare il declino di leader storici come Nokia e Motorola. Anche la ‘pioneristica’ BlackBerry con poco piu’ di un 10% del mercato rimastogli, sembra in caduta libera – a causa (anche ma non solo) di un sistema operativo non compatibile con le due principali piattaforme: iOS, creata ed usata dall’Apple e Android, adottata praticamente da tutti gli altri.

“In realta’ il 40% dei clienti che comprano uno smartphone da me, non ne ha veramente bisogno”, riflette Swartz con realismo, probabilmente anche un po’ smorzato dal bisogno e la voglia di vendere. “Molti novizi dello smartphone confessano di esere stati convinti dagli amici a fare il salto di qualita’. Molti altri invece, gia’ parte della categoria,mi chiedono l’ultimo modello, senza aver ancora imparato ad usare gran parte delle funzioni di quello che hanno gia’ in tasca,” continua il direttore del negozio mentre dispone gli ultimi arrivi sugli esposoitori con una sincerita’ che a questo punto va palesemente contro il suo interesse, ma tant’e: lo smartphonee’ ormai, tra le altre cose, anche uno status symbol. Alla portata di tutti, pero’- legandosi a un contratto di due anni, in molti casi si prende anche gratis – e dunque perfetto per tempi di crisi come questi.

E mentre il telefono di Swartz (quello fisso dell’ufficio) continua a squillare, a Cupertino, si fanno i conti: dalle prime stime sembra addirittura che il lancio del nuovo iPhone, con tutto l’indotto che ne deriva, possa arrivare a incidere di mezzo punto percentuale sul PIL degli Stati Uniti. E prima di rispondere all’ennesimo cliente che – Swartzgia’ lo sa - gli chiedera’ di non scordarsi di lui (o di lei) quando arriverannoa giorni i nuovi oggetti del desiderio com il numero 5 stampato sopra mi congeda cosi’: “Gli americani da sempre accumulano roba di cui, in realta’, potrebbero fare benissimo a meno . Non vedo perche’ il telefono debba fare eccezione”.

E’ successo per i libri di Harry Potter o per le consolle di certi videogiochi: appena si conosce la data della messa in vendita, cominciano la sera prima a formarsi le file davanti ai negozi. L’Apple non fa eccezione, anzi forse, delle file, negli ultimi anni detiene il record, visto che non solo per il lancio di nuovi prodotti ma anche per gli aggiornamenti di quelli gia’ sul mercato il rito si ripete puntuale. Non che, come tradizionalmente succede al “black friday” il giorno seguente alla festa del ringraziamento, ci sia il rischio che finiscano le scorte, o che il giorno dopo aumentino sensibilmente i prezzi: anzi dopo qualche mese, spesso diminuiscono. Ma per molti essere tra i primi al mondo a tenere in mano l’”oggetto del desiderio” vale l’alzataccia e l’attesa paziente del proprio turno.

“Odio le file e anche in quell’occasione sono riuscito ad evitarla”, racconta Giuseppe Taibi, ingegnere elettronico 43enne di Agrigento trasferitosi a Boston negli anni 90 per dedicarsi alla ricerca sull’intelligenza artificiale. Ma dall’emozione con cui racconta come il giorno che usci il primo iPhone riusci’ a comprarselo in solo mezz’ora arrivando al negozio Apple sul filo della chiusura e’ probabile che in quel caso sarebbe stato anche disposto a fare un eccezione. La prova? Quando non risponde al telefono – anche perche’ spesso in viaggio di lavoro - la sua segreteria telefonica dice: “risponde l’iPhone di giuseppe Taibi … lasciate un messaggio”. “L’ho registrata il giorno stesso” confessa “e da allora non mi sono sentito di cambiarla.” Fan scatenato della ditta di Cupertino fin dai tempi non sospetti in cui l’azienda di Steve Jobs (che lui non esita a paragonare a Leonardo Da Vinci e Enzo Ferrari) arrancava dietro alla Microsoft di Bill Gates, Taibi e’ uno dei pochi fortunati (ma la fortuna da sola non basta) che e’ riuscito a trasformare una passione in carriera. Due delle “app” (applicazioni, ovvero programmi scaricabili di interfaccia telefono-utente) inventate e sviluppate da lui, una per gli appassionati di skateboard l’altra per musicofili esigenti, hanno trovato spazio sulla prima pagina del sito commerciale dell’Apple negli ultimi due anni: considerando che in giro ce ne sono oltre mezzo milione non e’ risultato da poco.

“There’s an app for that”, diceva qualche anno fa uno degli slogan piu’ famosi dell’Apple – ditta a cui visto il recente boom in borsa il marketing non fa certo difetto – ovvero per qualsiasi cosa (tu voglia fare con il tuo telefono) c’e un applicazione. E ormai e’ vero. Dalle operazioni piu’ comuni - come controllare il cambio euro dollaro in tempo reale o farsi indicare la strada - fino alle piu’ strane e impensate - come quelle che trasformano il telefono in livella da muratore o accordatore di chitarra o quelle basate sulla cosiddetta ‘realta aumentata’ che all’immagine reale registrata dalla telecamera del telefono aggiungono elementi virtuali creando videogiochi in cui si ha l’impressione di sparare raggi laser contro alieni che si aggirano sul tavolo di casa - esiste da qualche parte sul web un programma che, una volta scaricato, lo permette toccando semplicemente un icona sullo schermo del telefono.

Secondo techcrunch.com il principale oracolo web del mondo della tecnologia il 60% delle “app” sul mercato sono gratis e il 30% costano appena 99 centesimi. “I guadagni arrivano dalla pubblicita’,” spiega Taibi, “o da servizi piu’ avanzati che l’utente richiede una volta abituato al servizio base (ad esempio accedere a certi video in alta definizione piuttosto che a risoluzione normale); la chiave sono i volumi: se un milione di persone spende 99 centesimi per la tua app, tu e i tuoi collaboratori guadagnate un milione di dollari.” La Apple non paga Taibi e i suoi concorrenti (ormai migliaia solo negli USA) ma nemmeno si fa pagare da loro. Semplicemente accetta o meno di includere l’applicazione nella propria gamma di offerta. Ovviamente piu’ il programma funziona, e piace, piu’ l’azienda ha interesse a pubblicizzarlo, e piu’ l’azienda lo pubblicizza piu’ il team che l’ha creato guadagna – in soldi e in popolarita’.

Il percorso inizia dal ragionare sul tipo di prodotto e il tipo di apparecchio con cui vi si accede, per capire cosa funziona e cosa no” continua Taibi “poi c’e’ da scrivere codice, linguaggio informatico, software per far dialogare macchina e utente; gli esperti in questo campo si chiamano “developers” (sviluppatori) ed e’ uno dei lavori del futuro: di loro il mercato ha letteralmente “fame” e non se ne riescono a formare abbastanza per soddisfare le richieste.” Taibi da buon ingegnere e’ perfettamente in grado di farlo da se’ ma a questo punto assolda, volta per volta, team di sviluppatori a contratto. “Poi c’e’ il lato vendita, nel quale le capacita’ della “old economy” (la vecchia economia), come il sapersi relazionare con gli altri, selezionare gli eventi a cui partecipare, saper scrivere, non passeranno mai di moda”, conclude Taibi che al momento lavora su una app di cui non vuole rivelare troppo e che in pratica permettera’, al contrario di facebook, di condvidere molto con poche persone selezionate.

E proprio ai rapporti umani che secondo molti rischiano di soffrire della diffusione degli apparecchi wireless Taibi – che, a proposito di old economy, quando non inventa apps vende olio prodotto nell’appezzamento di famiglia in Sicilia – dedica una riflessione finale: “La tecnologia, questa tecnologia in particolare, secondo me genera benessere. Io dovunque sono nel mondo riesco a dare la buonanotte in video alle mie figlie: piu’ benessere di cosi! Certo l’uso sbagliato dell’iPhone puo’ generare mostri, ma, come si suol dire, anche la corda, volendo, serve per impiccarsi”.

Lo scorso luglio il sofisticato settimanale ‘New Yorker’ ha pubblicato una di quelle copertine con le quali, riassumendo una situazione complessa in una sola vignetta, si fa perdonare gli articoli chilometrici leggibili fino in fondo solo in aereo o a letto con l’influenza: una famiglia-tipo di 4 persone su un isola tropicale, tutti vestiti da classici americani in vacanza, e tutti intenti a digitare qualcosa sulla tastiera del proprio telefonino. A “stretto giro” ha fatto seguito il ‘Time’, dedicando, in agosto, un intera edizione al mondo “wireless” con annessa lista dei dieci modi in cui lo ‘smartphone’ o, come da sottotitolo: “il telefono che avete in mano” sta cambiando il mondo. I campi d’azione di questa rivoluzione senza fili, secondo la popolare rivista, spaziano dalla politica alla privacy dalla medicina ai rapporti sentimentali, ambiti che spesso, a giudicare dal tono degli articoli, questi onnipresenti telefoni/computer/telecamere sempre piu’ piccoli e sempre piu’ diffusi stravolgono e trasformano per il meglio. Spesso, ma non sempre.

Ci pensa ‘Newsweek’ (concorrente diretto del ‘Time’) a ricordare i costi umani, psicologici e sociali delle “magnifiche sorti e progressive” (di leopardiana memoria) del mondo wireless. La storia di copertina dal titolo “iCrazy” (iPazzo) che e’ gia’ tutto un programma, si lancia in un approfondito esame del vizio tutto americano dello “strafare”, nel bene e nel male, applicato ai PC portatili, i tablet, e soprattutto i telefoni intelligenti, sempre in tasca, sempre accesi, sempre connessi. Emerge allora che negli USA il teenager medio elabora 3.700 sms al mese, che oltre il 60 percento degli adulti controlla il suo telefonino ogni ora, di questi il 40% almeno ogni dieci minuti, e che il 68% lo tiene acceso sul comodino mentre dorme. E che certi ristoranti ormai non si limitano piu’ a proibire il telefono a tavola ma fanno addirittura lo sconto a chi lo lascia all’entrata.

Quel che sorprende – oltre ai numeri da trattato di psichiatria – e’ la scarsita’, strana in una societa’ innamorata della statistica, di studi onnicomprensivi in questo senso – l’articolo ne cita alcuni ma tutti abbastanza piccoli e marginali - come se collettivamente ci si stesse accorgendo solo ora del fenomeno. Dunque gli specialisti che studiano la “dipendenza” da email, social network e sms (causa ormai, sembra, di piu’ incidenti stradali dell’alcool ), e che soprattutto cercano attivamente di risolverla, sono ancora, in un certo senso “pionieri”. “Il problema c’e’ eccome: se non ci fosse sarei senza lavoro.” dice il Prof. David Greenfield, docente di psichiatria e titolare del “Centro per la dipendenza da Internet e tecnologia” di Hartford, Connecticut. E, almeno stando al suo racconto, di lavoro, lui sembra averne fin troppo. “I miei pazienti vengono da tutti gli Stati Uniti, e ogni settimana se ne aggiungono di nuovi” racconta Greenfield che agli effetti deleteri e perversi della tecnologia sulla mente umana si occupa dal 1997, ovvero molto prima che la tecnologia stessa fosse conosciuta – o almeno usata – dai piu’.

Nella sua esperienza le dipendenze piu’ diffuse, il gioco d’azzardo, i video giochi, la pornografia (la piu’ comune tra i suoi pazienti) non sono direttamente imputabili alla tecnologia, ma da essa vengono amplificate in maniera esponenziale. “Quando i vizi diventano interattivi sono piu’ eccitanti, hanno una marcia in piu’” spiega lo psichiatra che tra gli altri si avvale un esperto di informatica che disattiva a ‘monte’ le connessioni dei pazienti ai siti a rischio. “Avere i ‘vizi’ in casa a portata di mouse era gia’ pericoloso, immagini poterli portare sempre e ovunque con se. Per chi, ad esempio non riesce a smettere di giocare e’ come avere la slot machine in tasca: non c’e’ niente di peggio!” Ma l’effetto “slot machine” non riguarda solo i giocatori incalliti. Per attivare le stesse zone del cervello che inducono i “malati di azzardo” a rovinarsi la vita, e il conto in banca, basta la semplice posta elettronica. “Il meccanismo e’ esattamente lo stesso,” spiega il terapista. “Un email “piacevole” (un pagamento, un’offerta di lavoro, un invito galante) e’ come una mano vincente al videopoker: non sai quando, ma prima o poi arrivera’, e ogni volta che arriva continui a “giocare” sperando che presto ne arrivi un'altra. Sono questi piccoli ‘spruzzi’ di dopamina a intervalli imprevedibili, che costringono il cervello a continuare, in uno scenario in costante cambiamento, a cercarne e a stimolarne l’origine. In questo senso il fondatore di facebook e’ inciampato su un meccanismo potentissimo senza, almeno all’inizio, rendersene nemmeno conto.”

Che venga dal poker on line, dalle chat room erotiche o dai social network l’abuso di un mezzo paragonabile secondo Greefield alle droghe e all’alcool “nel senso che crea una dissociazione dalla realta’ spazio temporale, non necessariamente piacevole ma molto, molto potente” puo’ avere lo stesso devastante impatto di altre dipendenze piu’ classiche su salute, relazioni affettive e, ovviamente, rendimento professionale. Anche quando paradossalmente la tecno-dipendenza e’ legata al lavoro stesso: molto citato in questo senso e’ lo studio di Leslie Perlow, docente alla Harvard Buisiness school e autrice del libro “sleeping with you smartphone” (A letto con lo smartphone) che per un anno ha convinto la direzione della Boston Consulting Group, una delle maggiori ditte di consulenza finanziaria e aziendale del mondo, a “costringere” una volta a settimana i dipendenti, a tutti ilivelli, non solo a uscire degli uffici alle 6 ma, una volta usciti, a tenere spenti tutti i collegamenti a internet fino alla mattina dopo. A stupire in questo caso non e’ il risultato, cioe’ che la produttivita’ individuale e complessiva alla fine dell’esperimento e’ aumentata notevolmente, ma il fatto che per “staccare” alle sei, una volta a settimana, sia servita un imposizione dall’alto. Ma questo, probabilmente e’ tema per tutto un altro articolo.

 
 
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