Smettere di fumare vuol dire, come prima regola, impegnarsi con sé
stessi nel volerlo fare. Senza questa volontà, i risultati saranno
incerti. A confermarlo non ci sono solo opinioni e storie vissute, ma
soprattutto la scienza medica.
Il dottor Massimiliano Villani, pneumologo
dell’ospedale milanese San Carlo Borromeo, racconta come si può
smettere di fumare, se si vuole, adeguatamente seguiti da un’équipe ad
hoc: «Accogliamo pazienti mandati dal medico curante o da uno
specialista e proponiamo un mini-corso collettivo di 40 minuti per
quattro pazienti insieme, un giorno alla settimana».
– E cosa fate?
«Innanzitutto, descriviamo in modo scientifico cosa accade quando si
fuma, per incrementare la voglia di smettere. È fondamentale, in questa
fase, il tempo: più se ne dedica al paziente più si hanno probabilità di successo.
Il soggetto riceve informazioni che aumentano le sue motivazioni. Poi, seguono altre visite individuali.
In particolare, possono esserci anche sei sedute con lo psicologo. In
concreto il percorso inizia con una personalizzazione e
caratterizzazione del paziente, con un’eventuale spirometria e il test
del monossido di carbonio.
Questo serve a quantificare l’esposizione al fumo, e
valutare la modalità con cui si fuma. Con ulteriore test misuriamo
anche l’intensità della dipendenza, cioè quanto il paziente ha
necessità di un certo tipo di terapia. Tutti questi dati ci servono per
poi seguire passo passo il percorso della disassuefazione».
– Questo metodo vale per tutti?
«Ogni soggetto è diverso. Quanto fuma, quanto ha voglia di smettere,
quanto è dipendente e quanto può rispondere positivamen- te alla
terapia: queste le domande a cui dob- biamo rispondere».
– Fumare è una malattia?
Certo. Inoltre, il fumo è un piacere che diventa una patologia. Ecco
perché tentiamo di non far sentire il paziente “colpevole”. Il fumatore
è un malato e il fumo crea un’alterazione dei recettori della
nicotina; così, il fisico della persona è destinato a cambiare.
È, dunque, vero che il fumatore fatica a smettere. E di questo non va colpevolizzato».
– Quanti centri esistono in Italia?
«Solo in Lombardia circa una sessantina».
– Sembrerebbero molti...
«Al contrario, sono pochi. In Lombardia i fumatori sono circa 2
milioni e mezzo, ma solo 3 mila circa vengono nei centri antifumo».
– Che risultati avete ottenuto?
«Il risultato avuto va letto ben oltre i numeri. La cessazione
immediata non è altissima perché i pazienti seguono poco quello che si
dice loro di fare, per vari motivi. La cessazione è del 35 per cento.
Ma se si guarda a quei soggetti che hanno finito il percorso, terapia,
visite con follow up, farmaci, percorso con medico e psicologo, allora
si arriva a picchi alti, del 60 per cento e oltre».
– Va seguita una terapia farmacologica?
«Certo, e va calcolato che alcuni fumatori non possono
tollerare la terapia farmacologi- ca o hanno effetti collaterali, o non
tollerano certi farmaci».
– Un paziente, per esempio, che ha avuto un infarto, e che
utilizza altri medicinali, può entrare in conflitto con i farmaci
proposti da voi?
«Fondamentalmente non ci sono farmaci che interagiscono con altre
medicine. Le con- troindicazioni possono esserci solo per casi di forte
epilessia, per i minorenni, per patolo- gie psichiatriche maggiori non
controllate e per le donne in gravidanza».
– Cosa pensa delle sigarette elettroniche?
«Siamo in attesa delle risposte definitive. Comunque, possono avere un
senso come so- stitutivi della nicotina, un po’ come i cerotti. Non va
dimenticato che la sigaretta ha 4 mila sostanze nocive che non sono
presenti in quelle elettroniche. Ma su queste gli studi non sono ancora
completi e non possiamo quindi definirle “farmaci sicuri”. Chi le usa
deve essere messo al corrente dei danni da assunzione di nicotine».