Andrea Albanese, organizzatore del Social Media Marketing Day ed esperto Social Media Manager e Digital Communication Advisor.
Due aule affollate, diretta streaming realizzata in collaborazione con Tiscali, quasi 14.000 tweet in un giorno che hanno parlato dell’evento, 16 interventi di altrettanti esperti di varie realtà aziendali e organizzazioni distribuiti lungo tutta la giornata (dal Politenico di Milano all’ENI, da Vodafone alla Lega Calcio di Serie B). Sono solo alcuni dei numeri della terza edizione del Social Media Marketing Day, svoltosi a Milano il 25 giugno scorso presso il prestigioso Centro congressi de Il Sole24Ore. È ormai assodato che nell’attuale contesto socio-economico per un’azienda non è più sufficiente essere presente sul Web, occorre invece cogliere le opportunità date dai social network e dalla diffusione sempre più ampia della tecnologia mobile, che ha aperto nuove e inaspettate possibilità di business. Le imprese di qualunque settore sono chiamate quindi a rapportarsi con questi nuovi canali, anche se forse sono ancora poche le aziende che sanno come utilizzarli al meglio.
Al di là dell’evento in sé, il successo di pubblico riscosso dal Social Media Marketing Day è un segnale di come il rapido cambiamento del nostro mondo dato dalla tecnologia non impatti solo sul modo di fare impresa, ma anche sul modo che ciascuno di noi ha di vivere le relazioni e di gestire il tempo. Per capire in quale direzione stiamo andando e quali sono i trend in atto, abbiamo parlato con Andrea Albanese, originario di Varese, classe 1972, organizzatore del Social Media Marketing Day ed esperto Social Media Manager e Digital Communication Advisor, che da anni svolge attività di ricerca, formazione e consulenza per aziende private ed organizzazioni pubbliche proprio nell’ambito dei social media della comunicazione digitale.
Agli inizi degli anni Quaranta del XX secolo qualcuno diceva che la televisione non avrebbe avuto vita lunga perché nessuno avrebbe avuto tempo per guardarla. Poi sappiamo come sono andate le cose… Sta succedendo la stessa cosa con i social network e le tecnologie mobile? Hanno realmente cambiato il nostro modo di gestire il tempo e le relazioni?
Credo che il social, il digital e il mobile abbiamo stravolto il nostro modo di gestire il tempo, le relazioni e non solo. Basta guardarsi attorno. I locali sono pieni di persone che anziché chiacchierare e guardarsi negli occhi chattano via Facebook, Whatsapp o Snapchat, a seconda dell’età. Il fenomeno del second screen, cioè l’abitudine di twittare e commentare sui social mentre si guarda un programma televisivo, è in pieno boom, tant’è che i grandi vendor di strumenti analitici hanno creato dei tools appositi per raccogliere i dati delle conversazioni social generate dalla TV. Oggi non esiste più distinzione fra vita pubblica e vita privata, ormai è un dato di fatto che negli Stati Uniti oltre il 90% dei recruiters verifichino il comportamento social e digital dei candidati, al di là di ciò che viene scritto su Linkedin, e questo trend arriverà anche qui. Le persone ti cercano online, sui social, e solo se ciò che trovano è di loro gradimento decidono di incontrarti. Quando poi parliamo di aziende e business, il problema è ancora maggiore: oggi sono i clienti a trovare i prodotti, i brand, i servizi, a consigliarli o denigrarli sui social network, influenzando così le percezioni e i comportamenti d’acquisto della loro rete di contatti, diretta o indiretta che sia.
L’Italia è fanalino di coda in Europa per quanto riguarda la percentuale di acquisti fatti on-line rispetto al totale degli acquisti effettuati. Eppure non siamo affatto refrattari all’uso della tecnologia mobile. Significa forse che complessivamente sfruttiamo forse ancora poco le sue potenzialità?
In Italia il problema è duplice, secondo me: da un lato non vi è la comprensione delle potenzialità dell’ecommerce, così come si sottovalutano pesantemente i rischi dati da competitors trasversali e stranieri che invece hanno individuato benissimo questa opportunità; dall’altro vi è una carenza di infrastrutture… il paese è poco connesso, ci sono pesanti lacune da un punto di vista di rete e questo limita lo sfruttamento delle potenzialità non solo dell’ecommerce, ma del digital in senso lato. Ci sono paesi come la Cina in cui basta fotografare il QR code di un prodotto sui display in metropolitana per averlo consegnato la sera al proprio domicilio. Piattaforme quali WeChat hanno al proprio interno, oltre all’ecommerce, anche il sistema di pagamento e l’arbitro che decide in caso di non conformità. In ogni caso, 4 italiani su 10 di almeno 15 anni d’età, secondo i dati Netcomm, hanno sperimentato almeno un acquisto online nel corso del 2014 e abbiamo quasi 11 milioni di e-shoppers ‘abituali’ (con almeno un acquisto al mese).
Primo social network al mondo per numero di iscritti (1,4 miliardi), prima fonte di informazione per i giovani, oggetto di grande attenzione da parte delle aziende dei più svariati settori come opportunità di business: Facebook è diventata una cosa seria. Ci vuole quindi più responsabilità nell’utilizzarlo. L’utilizzo responsabile vale solo per le aziende oppure anche, e soprattutto, per le persone singole, specie i giovanissimi?
Per citare Stan Lee “Da un grande potere derivano grandi responsabilità”: i social network rappresentano una grandissima opportunità non solo per il business, ma anche per migliorare aspetti sociali e portare avanti cause condivise per il bene comune, come abbiamo visto attraverso la testimonianza di Change.org. Come in ogni ambito, la parola chiave è ‘conoscenza’: comprendere le potenzialità di questi strumenti permette ad ognuno di utilizzarli secondo coscienza, o almeno dovrebbe. Per i giovanissimi, l’età minima per avere un profilo Facebook è 13 anni, età che non ha corrispettivo nella giurisprudenza italiana, perché deriva da una normativa statunitense. Queste piattaforme sono così potenti che non ci portano neanche a chiederci da dove derivino determinati limiti. Non dimentichiamo poi che i social network sono generazionali: i giovanissimi oggi passano molto più tempo su Snapchat o Whatsapp che non su Facebook… forse per evitare di incontrare gli alter ego digitali dei loro genitori o dei loro professori!
Rapida battuta sulla pervasività del mobile: viviamo connessi. Esempio personale: tutte le mattine (weekend compresi) faccio colazione con uno sguardo allo smarthphone per leggere ultime notizie, e-mail e post su Facebook dei miei contatti. Succede la stessa cosa a cena o durante le pause davanti alla TV. Mia moglie mi rimprovera dicendo che passo troppo tempo attaccato a quel dispositivo. Sono un utente perfettamente in linea con l’approccio attuale o, più prosaicamente, un marito distratto che ruba tempo alla famiglia?
Questi strumenti hanno una componente fortemente drogante, in media guardiamo il cellulare 160 volte al giorno. Non sappiamo più goderci il momento perché siamo troppo impegnati a fotografarlo o filmarlo per condividerlo a posteriori sui social network. Direi che sei in linea con gli utilizzatori dei 40 milioni di smartphone e i 10 milioni di tablet in Italia. Ormai dormiamo tutti con lo smartphone sul tavolino da notte e tendiamo a guardarlo appena apriamo gli occhi. La ricerca pubblicata da Audiweb ad aprile parla di 1h e 40’ in media al giorno di navigazione via mobile, su una popolazione dai 18 ai 74 anni… direi che se ci focalizziamo sui 18-45 la media è decisamente più alta.
Durante uno dei tuoi speech, hai sostenuto che non ci si improvvisa social media manager. Qual è la caratteristica principale che deve avere chi decide di intraprendere questo percorso professionale e qual è invece il difetto più pericoloso che deve cercare di evitare?
Un social media manager deve essere prima di tutto un professionista della comunicazione e avere nozioni di marketing: mi fa sorridere leggere il proliferare di ‘social media strategists’ che hanno al loro attivo la gestione della pagina Facebook della proloco locale… Partirei quindi dal difetto più pericoloso, che credo sia quello in cui rischia di incappare qualsiasi professionista che manchi di umiltà: credere di sapere tutto. I social sono così nuovi che neanche noi che ci lavoriamo e li studiamo tutti i giorni possiamo dire di conoscerli alla perfezione. Senza contare poi che gli algoritmi cambiano ad una velocità superiore a quella con cui ne comprendiamo le dinamiche. Direi dunque che un buon social media manager non si considera mai arrivato e soprattutto ha sempre voglia di confrontarsi e sperimentare. Quanto agli skills professionali, rimando alla mia rapida analisi in occasione del Social Media Marketing Day del 25 giugno scorso: un social media manager deve avere basi di comunicazione, marketing, ict e management. Deve essere una persona con una forte capacità di lavorare in team, deve avere una buona vision, essere orientata ai risultati e soprattutto essere pratica, realistica, creativa. Ci aggiungerei un ultimo elemento: un buon social media manager deve operare con passione e distacco al tempo stesso. L’ansia da click è sempre in agguato ed esserne vittime è fin troppo facile. Il mio consiglio spassionato? Sperimentare senza paura, troppa teoria non serve.