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domenica 15 settembre 2024
 
Autostima
 

«Trent'anni e un buon lavoro. Ma nella testa la voce di mio papà che dice: sei uno stupido...»

14/01/2022  «Me lo ripeteva all'infinito. Ma che cosa gli avevo fatto io? Non ho pianto la sua morte. Non riesco a perdonarlo e so che mi farebbe bene». L'ombra di un padre morto e dei suoi soprusi sulla vita di un giovane adulto in cerca di se stesso

Sono un trentenne laureato, ho un buon lavoro, ma sono tanto solo. Non l’ho mai detto a nessuno, ma ogni tanto la voce di mio padre – morto tre anni fa – mi buca il cervello: “Sei uno stupido, ripeti: - Sono uno stupido, - Non sono intelligente, - Non capisco niente”. Lo ripetevo all’infinito, per farlo contento. Ma perché? Che cosa gli avevo fatto io? Come è possibile? Non ho pianto la sua morte. Anzi. Non riesco a perdonarlo e so che mi farebbe bene. SILVIO

— Certe lettere, caro Silvio, mi mettono in un profondo imbarazzo, mi mettono di fronte a fatti incomprensibili, “ingiustificabili”. E non so che cosa risponderti, anche se ti devo un grazie per aver confidato questo segreto alla “Posta del cuore”!

Non mi resta che allearmi con il piccolo Silvio di sette/otto anni – come mi scrivi – costretto ad ammettere la propria stupidità, a ripetere all’infinito questa contro-litania. Tu non ricordi dov’erano gli altri (tua madre e i tuoi fratelli) quando tu ripetevi queste parole di autodistruzione. Il comportamento di tuo padre è davvero incomprensibile, qualunque cosa il piccolo figlio potesse aver fatto.

Non riusciamo a trovare nessuna scusante per un padre così. E non puoi nemmeno più chiedergli, da adulto: “Papà, perché mi trattavi così? Cosa avevo fatto di male?”. Il perdono appare impossibile. È ingiustificabile. Ma il perdono non è una faccenda emotiva, e nemmeno una potente spugna che cancelli il passato.

Forse potresti però imparare una stupefacente “arte dei traslochi”, di cui tu sei un testimone prezioso. Perché? Perché non hai obbedito a questa strana ingiunzione paterna: ti sei laureato! Gli hai mostrato coi fatti che non potevi lasciarti imbrigliare da ciò che tuo padre pensava di te (e continuiamo a non sapere per quale ragione o per quale strana e feroce pedagogia!). Tu sei stato “disobbediente”, gli hai mostrato che non era vero quello che lui ti costringeva a pensare di te!

Anzi, mi racconti che il giorno della discussione della tua tesi di laurea lui c’era, muto, senza un complimento per te, ma con gli occhi umidi. E lì tu l’hai perdonato: è la vita che perdona, non le buone emozioni. Forse ti manca il credere a questa tua capacità di perdono all’antico padre ed essere fiero di te stesso. E così puoi aprirti a nuove relazioni, riconoscere quanto “sei bello, prezioso e intelligente”! Se non ce la fai da solo, puoi cercarti un bravo psicoterapeuta. Auguri forti!

 
 
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