I numeri sono dalla sua parte: sono diventati 84 i testimoni di giustizia nell'ultimo semestre, la cifra più alta da quando, nel 1991, il servizio è stato istituito. «Ma soprattutto vorrei sottolineare che nessuno di loro o dei familiari che abbiamo protetto ha subito aggressioni o peggio. Abbiamo garantito la loro incolumità per tutto il periodo in cui ce ne siamo occupati noi». Il generale Sergio Pasquino, dal 2011 a capo del Servizio centrale di protezione, una struttura interforze inquadrata presso la direzione centrale della polizia criminale del ministero dell’interno, ci tiene a sottolineare che «siamo molto ben organizzati, solo gli americani fanno meglio di noi». Non ama farsi fotografare, il generale dei carabinieri, pugliese di nascita con ascendenti calabresi: «Proprio per il lavoro che facciamo è bene avere la massima discrezione e non svelare troppo del modo in cui operiamo». Il generale spiega bene, però, chi ha diritto alla protezione, che significa anche cambio di identità, di documenti, di lavoro, di titolo di studio, distacco dal proprio territorio e dai propri amici: «Le due categorie, che fino a prima della legge del 2001 erano accomunate, sono i testimoni di giustizia e i collaboratori. Questi ultimi sono quei soggetti che decidono - perché hanno paura per la propria vita o per un intimo pentimento o per altre ragioni – di dare il loro contributo alla giustizia. Fino a quel momento però sono organicamente inseriti nel circuito criminale. Devono dare però un “contributo eccezionale”, teso a scardinare sul territorio l’organizzazione di cui fanno parte.
I testimoni di giustizia, invece, sono dei normali cittadini, dei soggetti il più delle volte vittime di estorsione o di usura o, ancora, soggetti che hanno assistito a dei fatti delittuosi e che, pervasi da quel senso civico che dovrebbe albergare in tutti noi, decidono di dare la loro testimonianza per interessi di giustizia». Nel programma si entra d’intesa con l’autorità giudiziaria e gli organi di polizia e si esce, di norma, quando cessano le esigenze di protezione. «Nel periodo in cui si è sotto protezione si riceve un assegno di mantenimento, che posso assicurare essere regolarmente erogato», precisa il generale. «Quando cessano le misure di protezione c’è la cosiddetta capitalizzazione, cioè l’erogazione di un contributo economico definitivo che dovrebbe favorire il reinserimento sociale dell’interessato e del suo nucleo familiare». Per favorire il reinserimento era stata anche approvata una legge per le assunzioni nelle pubbliche amministrazioni, «ma finora alle nostre richieste hanno tutte risposto che non hanno disponibilità di posti. So bene che è solo una delle tante difficoltà che vivono i testimoni. Io però mi occupo di sicurezza e posso dirle che questa è decisamente assicurata».