Don Antonio Mazzi. Immagine sopra: carabinieri sul luogo di un recente episodio di violenza a Napoli (foto ANSA/ CIRO FUSCO)
Chi conosce bene monsignor Domenico Battaglia, arcivescovo di Napoli, capisce quanto sia drammatico, accorato e allarmante l’urlo che lancia alla sua città e all’intera nostra Italia, dopo l’ultima rapina in un ristorante con le armi puntate anche verso famiglie con i bambini. «Stanno uccidendo Napoli. La sta uccidendo la camorra, il malaffare, la violenza e la crudeltà di coloro che hanno dimenticato di essere umani». Don Battaglia non è un pastore qualunque. Viene dalla strada e ha vissuto i suoi anni da prete nelle periferie e nei quartieri difficili. Il suo appello grida come invito definitivo. «Agli uomini di camorra, ai corrotti e ai collusi con la criminalità dico: ritornate a essere umani. Convertitevi! Il vostro vescovo vi accoglierà e accompagnerà i passi della vostra conversione e della rinascita umana».
Non è più possibile che qualcuno preferisca vivere più da bestia che da uomo, tra l’indifferenza generale. C’è un altro passo nell’urlo del vescovo che ci fa agghiacciare il sangue. Parlando alle madri dice: «Siate nuovamente grembo che genera vita e non complici di percorsi di morte». È terribile sentire un arcivescovo gridare frasi simili. Ma ancor di più lo è dubitare che possano far cambiare qualcosa. Consola, invece, il messaggio del neosindaco di Casavatore, che si fa portavoce dell’urgenza e dello smarrimento della metropoli. «Dobbiamo fin da subito promuovere un patto educativo che veda coinvolti tutti i soggetti impegnati sul territorio in un’opera di prevenzione sociale e di formazione delle nuove generazioni in questo percorso “di vita”».
Il messaggio, però, non si deve fermare a Napoli, perché l’intera nostra Italia, in questo periodo, soffre di “Covid” etico. L’umanesimo di una società si verifica solo quando la solidarietà tra i vari territori, da Nord a Sud, diventa aiuto vero, fraterno, sincero, convinto. L’altro segnale positivo ce lo offrono i ragazzi, che si sono resi disponibili a incontrare i loro coetanei per «un momento di reciproco ascolto, confronto, condivisione». Forse l’urlo di don Domenico sta facendo germogliare qualcosa di vivo anche in un contesto di morte!