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giovedì 07 novembre 2024
 
 

Somalia, combattimenti e soprusi

15/07/2010  Il ruolo e le attività del Cisp-Sviluppo dei popoli in un Paese sempre più dilaniato da una guerrra dimenticata. Il progressivo espandersi del movimento islamico radicale Al Shabab.

Il diritto all’educazione deve essere garantito anche nasce donna. Eppure in un Paese come la Somalia, dilaniato ormai da decenni di guerra e di faide, gli ostacoli sono sempre più numerosi. Le milizie di Haraka al-Shabab (partito dei giovani), un gruppo che si ispira ad Al Qaeda e che ha iniziato a far parlare di sè attorno al 2005, si stanno espandendo ogni giorno di più nel Paese: ora sono arrivate infatti nelle regioni centromeridionali di Galgaduud e Mudug, dove vogliono eliminare le classi miste con maschi e femmine. Non solo: i mujaheddin somali stanno combattendo proprio in queste ore dentro la capitale Mogadiscio. E c'è un ulteriore pericolo: molti minori che vivono nei campi sfollati rischiano di essere di essere reclutati come bambini-soldato o iniziare un percorso di emigrazione non protetta.

     E’ proprio qui che il Cisp-Sviluppo dei popoli lavora da tempo con vari progetti, il cui è obiettivo è fra l’altro quello di permettere a bambine e ragazzi il diritto all’istruzione. A spiegare la situazione è Rosaia Ruberto, la coordinatrice delle attività del Cisp-Sviluppo dei popoli in Somalia, paese in cui l’organismo è presente dal 1983.  «La Somalia oggi è un posto dove si reclutano minori nelle scuole per dargli in mano un kalashnikov e la guerra a Mogadiscio e in tante altre città si sviluppa sulla testa della popolazione civile innocente. Ci sono scontri continui», racconta Ruberto, «per il controllo delle comunità. Il conflitto crea ondate di sfollati che cercano di raggiungere zone sicure. Finora le comunità locali si sono mostrate molto determinate nel cercare di garantire comunque la funzionalità delle scuole». 

    Lo dimostra quanto accaduto nella regione del Galgaduud, a circa 350 km a Nord di Mogadiscio: «Siamo riusciti a far funzionare ospedali e scuole con il sostegno delle comunità anche quando le città erano occupati dagli Islamici radicali o dai gruppi di pirati», aggiunge Ruberto. «Ma, recentemente, quando non è stato possibile garantire le condizioni minime, abbiamo deciso di sospendere questi servizi. Proprio in questa regione, grazie alla pressione e all’impegno della comunità, sono stati ora riattivati i servizi educativi e sanitari che erano stati interrotti per i combattimenti». 

    Il Cisp-Sviluppo dei popoli agisce su più fronti in Somali: l’istruzione e la tutela della donna, l’accesso ai servizi sanitari essenziali, l’assistenza agli sfollati e la tutela dei loro diritti. «Supportiamo 30 scuole primarie e 40 scuole coraniche», – spiega ancora Rosaia Ruberto, «costruendo classi dove non c’è abbastanza spazio e riedificando le scuole distrutte. Svolgiamo inoltre programmi di formazione per gli insegnanti e ne sosteniamo la retribuzione. Ci teniamo a formare professoresse e maestre, perchè in Somalia solo il 20 per cento degli insegnanti è rappresentato da donne. Con queste attività siamo riusciti a far passare il tasso di educazione femminile nelle nostre aree dal 39 al 49 per cdento. Il diritto per le bambine ad avere accesso all’educazione è per noi fondamentale e va garantito. Anche nel mezzo di un conflitto tutte le parti devono garantire il rispetto dei principi umanitari». 
    
    Un altro fronte che vede impegnato il Cisp-Sviluppo dei popoli in Somalia è costituito dai programmi di protezione per gli sfollati e formazione professionale per i giovani affrendo servizi di supporto psico-sociale, organizzando attività di alfabetizzazione. «Siamo particolarmente attenti», conclude Ruberto, «nel lavorare con insegnanti e famiglie per offrire alternative con corsi di formazione professionale ai più giovani tra i 15 e 30 anni, che sono i soggetti più a rischio di essere reclutati da gruppi armati o di emigrare in modo non protetto».   

    Un'ulteriore prova per una Nazione lacera e dolente, la Somalia appunto, che oggi conta tre milioni di persone in stato di necessità, cinquecentomilarifugiati nei Paesi limitrofi, una diaspora di due milioni di somali sparsi nelmondo. E soprattutto vent’anni di instabilità e di guerra civile.
    

 
 
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