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lunedì 05 giugno 2023
 
 

Una domenica per salvare l'Africa

17/09/2011  La Cei ha indetto per domani una colletta destinata a sostenere gli interventi della Caritas nel Corno d'Africa colpito dalla carestia. La situazione umanitaria e i possibili sviluppi.

L’obiettivo è ridare speranza alle persone. In tal senso, per domenica 18 settembre2011 la Conferenza Episcopale Italiana ha indetto una raccolta straordinaria in tutte le chiese d’Italia a sostegno delle iniziative di solidarietà della Caritas Italiana, da mesi mobilitata nel Corno d’Africa e nei Paesi limitrofi colpiti da siccità e carestia.

     La colletta risponde ai ripetuti appelli del Santo Padre «a dividere il pane con i bisognosi» riferendosi proprio alle popolazioni del Corno d’Africa afflitte da una crisi alimentare molto estesa e grave, per taluni aspetti la peggiore degli ultimi decenni in quell’area. Le ultime stime parlano di 13,3 milioni di persone bisognose di aiuto distribuite soprattutto in 4 paesi: Somalia, Kenya, Etiopia, Gibuti e, in misura minore, in alcune zone del Sud Sudan, dell’Uganda e della Tanzania. Sono 750.000 circa le persone a rischio di morte nei prossimi 4 mesi.

     La crisi si è determinata a causa di una forte siccità dovuta alla scarsità e all’irregolarità delle piogge unita all’innalzamento dei prezzi delle derrate alimentari e, soprattutto per la Somalia, ai violenti conflitti interni. Da due decenni in quel Paese vige una situazione di assenza di istituzioni che rende estremamente vulnerabile la popolazione soprattutto nell’area del centro Sud dove è più forte la siccità e dove èstato dichiarato lo stato di carestia in sei regioni.

     C’è da tener conto che in tutti i Paesi colpiti dalla siccità ampie fasce della popolazioni vivevano già in situazioni di povertà e spesso di malnutrizione. L’aggravarsi delle loro condizioni colpisce soprattutto le fasce più vulnerabili come i bambini tra i quali, purtroppo, vi sono già state migliaia di vittime. Nei prossimi mesi la situazione si aggraverà: le stime parlano di un 25% in più di popolazione colpita, con una previsione di ripresa non prima del prossimo anno.

   

Anche questa crisi come purtroppo molte altre, era prevedibile e prevenibile in quanto frutto di inerzie e di politiche sbagliate sia locali che internazionali. Per questa ragione, in occasione della colletta Caritas Italiana ha lanciato una campagna dal titolo Fame di pane e di futuro proprio per sollecitare una solidarietà che sappia guardare oltre l’emergenza per sostenere questi popoli nel loro sviluppo futuro, impegnandosi tutti per la rimozione delle cause profonde che provocano la fame.

    Cause che si annidano nei meccanismi del sistema economico-finanziario mondiale, nell’incuranza per l’ambiente e il riscaldamento globale, nel commercio delle armi che alimenta i conflitti e rende ancora più catastrofico l’impatto delle emergenze naturali.

    Le Caritas dei Paesi maggiormente colpiti sostenute dalla rete Caritas internazionale è mobilitata da mesi nell’aiuto alle persone in stato di bisogno. Le somme raccolte nella colletta di domenica saranno utilizzate per tutte le vittime della siccità in ordine a potenziare gli interventi in atto e per svilupparne di nuovi anche nel medio e lungo periodo. In agosto le Caritas di Kenya, Etiopia, Somalia e Gibuti hanno avviato dei piani di intervento per i prossimi 8-12 mesi che prevedono sia un aiuto d’urgenza sia azioni volte alla riprese delle attività agricole e di allevamento per circa 300.000persone.

     In particolare, in Kenya ed Etiopia l’ambito principale di azione è l’aiuto alimentare con la distribuzione di razioni alimentari e l’assistenza nutrizionale e sanitaria a persone vulnerabili (soprattutto bambini, donne incinte o che allattano, malati, disabili, anziani, sfollati, ecc.). Per l’immediato futuro è necessario agire sulla conservazione dell’acqua (pozzi, cisterne e ripristino di sorgenti; realizzazione di dighee terrazzamenti), ma bisogna anche dare sostegno alla ripresa dell’allevamento e dell’agricoltura (distribuzione di animali e foraggio; fornitura di sementi più resistenti alla siccità e di attrezzi agricoli, cure veterinarie). Per quanto riguarda la Somalia, Caritas Italiana sostiene, pur nella precarietà della situazione politica, le attività della locale Caritas in varie zone del Paese: distribuzione di viveri a favore di 515 famiglie particolarmente colpite nelle zone circostanti la cittàdi Brava, viveri e aiuti d’urgenza anche nel Basso Giuba, a favore di 2.730 bambini sotto i 5 anni, 945 donne incinte o che allattano, 670 anziani.

     È prevista anche la costruzione di un ambulatorio nella zona di Boqoley e la distribuzione di aiuti in 8 campi profughi a Mogadiscio. Per far questo occorrerà il contributo di tutti.

Paolo Beccegato

Intervenire è urgente. È l’appello accorato di Caritas Italiana. Sono milioni le vittime di questa emergenza, provocata da una catastrofe ambientale trascurata alle prime avvisaglie, che ora sta mettendo in ginocchio l’Est Africa e che rischia di estendersi ad altre aree della regione.

     Ad ogni aggiornamento le cifre crescono: sono 13,3 milioni le persone colpite, soprattutto in Somalia, Kenya, Etiopia. Settecentocinquanta mila rischiano la morte per fame nei prossimi quattro mesi. E i bambini sono fra quelli che pagano il prezzo più alto della crisi: 2,3 milioni sono affetti da malnutrizione acuta o grave.

    L’afflusso dei profughi dalla Somalia in Kenya ed Etiopia continua incessante, come racconta nell’intervista riportata in questo dossier Suzanna Tkalec, operatrice di Crs (Caritas statunitense) e, per l’emergenza di questi mesi, assistente a Nairobi del vescovo Giorgio Bertin, presidente di Caritas Somalia. I numeri dell’emergenza sono enormi, e i bisogni giganteschi. Ma, come sottolinea Abba Agos Hayish, segretario generale dell’Ethiopic Catholic Secretariat (Caritas Etiopia), «Il problema non è la quantità, ma la tempestività con cui giungono le risorse. Un ritardo, in questo momento, può essere fatale per interi villaggi».

     Oltre agli aiuti concreti Caritas Italiana ha lanciato una campagna di sensibilizzazione, intitolata Fame di pane e di futuro (mettendo anche a disposizione delle Caritas diocesane strumenti per l’approfondimento). Caritas Italiana finora ha inviato 700.000 euro per sostenere le azioni delle omologhe realtà dei Paesi colpiti (256 mila per la Somalia, 51 mila per Gibuti, 200 mila per il Kenya e 200 mila per l’Etiopia). Dal canto suo, la presidenza della Cei ha messo a disposizione 1 milione di euro e ha lanciato la colletta nazionale straordinaria che ha il suo avvio e momento forte domenica 18 settembre 2011.

     Per le Caritas dei Paesi colpiti la situazione non è esplosa all’improvviso. C’erano già in corso diversi programmi di aiuto, ma con l’aggravarsi della carestia hanno sviluppato piani di intervento più ampi, principalmente nei settori dell’assistenza alimentare (tramite distribuzioni di cibo oppure, dove la popolazione può agevolmente accedere ai mercati locali per procurarsi il cibo, anche di denaro); fornitura d’acqua; interventi sanitari; sostegno alla ripresa delle attività agricole e dell’allevamento.

    Complessivamente i diversi interventi progettati intendono raggiungere oltre 300 mila destinatari, in un periodo di 4‐12 mesi. 

Luciano Scalettari

Come partecipare alla colletta

     Per sostenere gli interventi in corso si possono inviare offerte a Caritas Italiana tramite c/c postale n. 347013 specificando nella causale: “Carestia Corno d’Africa 2011”.
    
     Offerte sono possibili anche tramite bonifico bancario: UniCredit, via Taranto 49, Roma – Iban: IT 88 U 02008 05206 000011063119 Banca Prossima, via Aurelia 796, Roma – Iban: IT 06 A 03359 01600 100000012474 Intesa Sanpaolo, via Aurelia 396/A, Roma – Iban: IT 95 M 03069 05098 100000005384 Banca Popolare Etica, via Parigi 17, Roma – Iban: IT 29 U 05018 03200 000000011113.

     Infine, si può utilizzare la carta di credito: CartaSi (VISA e MasterCard) telefonando a Caritas Italiana al numero 06 6617.7001 (in orario d’ufficio).

Il WFP, l’agenzia delle Nazioni Unite per la sicurezza alimentare, ha dichiarato lo stato di emergenza, elevando la crisi al massimo livello d’azione. La siccità ha già causato la morte di decine di migliaia di persone. Metà delle vittime sono sotto i cinque anni d’età e vi è forte preoccupazione tra le organizzazioni umanitarie per la sorte di 720 mila bambini, che rischiano di non superare il tempo della carestia.

     I dati sono crudi: almeno il 20% delle famiglie di tutte le zone interessate deve far fronte a grave carenza di cibo; inoltre, la malnutrizione acuta investe oltre il 30% delle persone, con due morti al giorno ogni 10.000 individui. Secondo la Fao, l’agenzia Onu che si occupa di sviluppo agricolo nei Paesi poveri, la crisi alimentare nel Corno d’Africa è tutt’altro che sotto controllo: dato che la stagione delle piogge è ancora lontana il dramma è destinato ad acutizzarsi ulteriormente. Del resto, la previsione è che lo stato d’emergenza continuerà anche oltre il ritorno delle piogge, anche perché molti contadini hanno abbandonato i villaggi in cerca di salvezza. Nei prossimi mesi gli attuali 13,3 milioni di persone coinvolte nella carestia saliranno con ogni probabilità a 16-16,5.

     La fame non è l’unico problema. Sono elevati anche i rischi di epidemie, specie nei campi profughi come quello di Dadaab a nord‐est del Kenya, dove ci sono ormai più di 450 mila persone. Il tasso di malnutrizione dei bimbi somali arrivati in Etiopia e Kenya è aumentato al 47%, il doppio rispetto a gennaio 2011. D’altro canto, in alcune zone del Kenya e dell’Etiopia, fra le popolazioni locali, il tasso di malnutrizione acuta oscilla tra il 33% e il 37%, superiore a quello dei rifugiati somali che arrivano nel campo di Dadaab.

     Una simile carestia, secondo gli esperti, non si verificava da almeno 60 anni, anche se queste regioni sono soggette a periodi di siccità, più frequenti negli ultimi anni (i più recenti nel 2005, 2006, 2008). Il Corno d’Africa, infatti, è una delle regioni al mondo a maggiore insicurezza alimentare (più del 40% della popolazione soffre di scarsità di cibo). La Somalia, poi, com’è noto, è impoverita da un’economia paralizzata dalla ventennale guerra civile, iniziata nel lontano 1991, alla caduta del dittatore Siad Barre.

Luciano Scalettari

L’attuale crisi colpisce principalmente le aree rurali in Somalia, Kenya, Etiopia, Eritrea, Gibuti. Ma oltre al Corno d’Africa, anche in Uganda, Sud Sudan e Tanzania si espande la crisi.

Le aree più colpite:

- il Centro‐Sud della Somalia, dove in 6 regioni è stato dichiarato lo stato di carestia. Si stima che circa 4 milioni di persone necessitino d’aiuto. Secondo la FAO nella Somalia meridionale le condizioni di emergenza permarranno sino al primo trimestre del 2012 e una ripresa non è prevista prima di agosto 2012

- le regioni del Nord e dell’Est del Kenya, con oltre 4 milioni di persone coinvolte, che comprendono sia i kenioti sia i rifugiati provenienti dalla Somalia che vedono il Kenya come Paese più sicuro e meglio assistito. I rifugiati sono 590.000 di cui 450.000 nel campo profughi di Dadaab, il più grande del mondo

- la parte meridionale e orientale dell’Etiopia e la zona ovest dell’Eritrea, con oltre 4,8 milioni di persone. L’Etiopia accoglie 260.000 rifugiati, in prevalenza somali, in vari campi. Il più esteso è quello di Dolo Ado, dove ci sono 120.000 persone. In minor misura sono state colpite le popolazioni di Gibuti, del Nord Uganda, dell’area orientale del Sud Sudan e la parte settentrionale della Tanzania.

     Il tragico panorama della situazione presenta sia la formazione di campi di sfollati in loco, poiché la siccità è paralizzante, sia fenomeni d’esodo di massa e dunque la creazione di campi temporanei improvvisati lungo gli assi stradali e di campi più stabili in luoghi più sicuri e assistiti.  

Le cause

     Diverse ragioni hanno portato alla crisi attuale. La scarsità di piogge è quella principale: ha colpito direttamente l’80% della popolazione, ovvero quella residente in contesti rurali, strettamente dipendente dall’agricoltura e dagli allevamenti. Il settore primario rappresenta infatti la principale fonte di cibo e reddito e l’economia di questi Paesi è sostanzialmente di tipo agrario.

     Tuttavia, la causa ambientale è solo il colpo di grazia subito da popolazioni da tempo in ginocchio, dimenticate ed escluse dagli investimenti dell’economia globale. Nel Corno d’Africa il problema della scarsità di cibo è abbastanza strutturale, e la produzione agricola è sempre di sussistenza, anche quando le condizioni climatiche sono buone. Inoltre, negli ultimi decenni la crescita di produzione agricola non ha compensato nemmeno l’incremento della popolazione.

     «In molti casi vi è stato un disincentivo nell’accrescere la produzione», sottolinea Caritas Italiana nel documento Fame di pane e di futuro, che accompagna la raccolta straordinaria di fondi. «Negli anni trascorsi ciò è accaduto a causa della concorrenza di prodotti importati a prezzi molto bassi in quanto eccedenze di produzione di altri Paesi. Oggi a causa della variabilità dei prezzi della derrate alimentari dovuta alla speculazione internazionale».

     Il documento indica anche le cause che stanno a monte dell’attuale crisi:

- i limitati investimenti nelle politiche agricole a favore dei contadini africani

- la mancanza di una politica di sicurezza e sovranità alimentare con una estrema dipendenza dall’esterno per l’approvvigionamento di cibo

- la svalutazione della moneta locale che rende la popolazione sempre più vulnerabile

- l’aumento dei prezzi degli alimenti e del petrolio

- la deforestazione e la desertificazione (il 60% del Corno d’Africa è classificato come arido)

- il riscaldamento globale del pianeta che ha provocato un innalzamento della frequenza delle siccità.

     «Tutto questo», conclude Caritas, «ha portato a un’allarmante scarsità di scorte alimentari, di pascoli per gli animali, di risorse idriche oltre che a un peggioramento delle condizioni igienico‐sanitarie, soprattutto per le fasce più deboli, che innalza drasticamente il rischio di epidemie».

     Non va dimenticato, infine, che tra gli altri fattori che hanno acutizzato l’emergenza ci sono i numerosi focolai di guerra e violenza, in Sud Sudan, Eritrea, ma soprattutto Somalia. Le tensioni politiche e le operazioni militari hanno reso gli interventi umanitari internazionali a favore delle vittime difficili e pericolosi, a volte impossibili. 

Luciano Scalettari

«L’esodo continua. Tutti i giorni. A volte 1.300 persone, altre 1.500, o ancora di più in certe giornate. Pochi giorni fa ero a Daadab, in quello che è diventato il campo profughi più grande del mondo. Sono state ormai superate le 450 mila presenze. L’emergenza rimane acutissima».

     Le parole sono di Suzanna Tkalec, volontaria di Crs (la Caritas statunitense), da qualche tempo incaricata di fare da assistente a Nairobi di monsignor Giorgio Bertin, vescovo di Gibuti e amministratore apostolico di Mogadiscio, ma anche presidente di Caritas Somalia. Le Caritas nazionali di Somalia, Kenya ed Etiopia sono in questa fase il braccio operativo sul territorio della mobilitazione di quella Italiana e Internationalis, che stanno cercando di raccogliere la maggior quantità possibile di fondi e di coordinare gli aiuti per le enormi necessità dei milioni di persone colpite dalla siccità e dalla carestia.

- Suzanna, come giudichi la situazione? È ancora fuori controllo?


«Fuori controllo no, ora sono molte le agenzie e gli organismi dell’umanitario che si sono mobilitati e organizzati. Ma siamo molto, molto lontani dalla fine dell’emergenza. Questo fiume di gente che continua a lasciare la Somalia, oggi come un mese fa, arriva in Kenya ed Etiopia in condizioni estreme, dopo un viaggio di due o tre settimane senza cibo, spesso hanno ance subito attacchi da animali e predoni. E sappiamo che andrà avanti così ancora per mesi. Sono immagini terribili, quelle che vediamo. Hai presente il Biafra, alla fine degli anni Sessanta? Le persone che barcollavano scheletrite? Oggi, in Corno d’Africa, è la stessa cosa. E poi c’è tanta fame che non si vede».

- Cioè?

«La popolazione dell’Ogaden somalo in Etiopia, o quella di molte regioni rurali del Kenya, credi che stiano meglio? Le agenzie umanitarie hanno il problema che la gente fuori dai campi profughi è nelle stesse identiche situazioni di quella che c’è all’interno. Solo che quella che sta fuori non è rifugiata, non ha lasciato il proprio Paese, quindi si rischia di avere una fame di serie A e una di serie B. Si deve pensare anche a tutta quella popolazione – e sono tanti, parliamo di 4 milioni di kenyani e 4,8 milioni di etiopi – che vive la stessa condizione disperata ma non si vede, perché non è raggruppata in campi. Stiamo cercando di raggiungere tutta questa gente attraverso le Caritas nazionali, che hanno volontari in grado di operare capillarmente sul territorio».

- Il rischio di epidemie è molto elevato?


«Sì. Persone tanto vulnerabili e indebolite, raggruppate in massa in questi campi rappresentano un grande rischio per lo sviluppo di epidemie. Occorre intervenire in fretta sugli aspetti igienico-sanitari, nella costruzione di latrine, nella strutturazione dei campi profughi in modo tale da evitare che si sviluppino contagi. Occorre lavorare bene e rapidamente. Ma i mezzi, oggi come oggi, sono tutt’altro che sufficienti».

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