L’arrivo di Matteo Renzi in Parlamento
in qualità di neopremier, anzi di “sindaco
d’Italia”, come ama definirsi, è stato
simile a quello di Mary Poppins nella
famiglia Banks del celeberrimo film.
Mani in tasca, discorsi a braccio, battute
spiazzanti a raffica che non risparmiavano
nemmeno senatori e deputati,
scranno del Governo trasformato nella scrivania
disordinata di uno studente universitario: personal
computer, fogli sparsi ovunque, libri in bella
mostra come biglietti da visita (L’arte di correre, di
Haruki Murakami), pennarelli, evidenziatori, iPhone
e caricabatterie.
Ma al di là dell’immagine di un nuovo e salutare
dinamismo, cosa bolle in pentola? Dopo aver presentato
una squadra di Governo giovane e formata
per metà da donne, l’ex sindaco di Firenze ha messo
in campo un esercito di viceministri e sottosegretari
mediando con i partiti della maggioranza che lo sorregge in pieno stile Prima
Repubblica.
Non senza inciampi, a cominciare
dalla presenza di Antonio Gentile,
senatore cosentino oggi alfaniano, ieri
berlusconiano (sua la proposta di Nobel
per la pace al Cavaliere), accusato di
aver fatto pressioni sullo stampatore
dell’Ora della Calabria per impedire la
pubblicazione delle notizie sul figlio indagato.
Lavoro e fisco
La luna di miele del Governo
Renzi con il Paese, dopo tante promesse
(«una riforma al mese») rischia di
finire presto, in mancanza della prova
dei fatti.
Il premier fiorentino è il primo
a dirlo («so di aver suscitato molte aspettative
e questa è una grandissima responsabilità
»). E così, dopo aver annunciato
il pagamento di 60 miliardi di arretrati
della pubblica amministrazione alle imprese
e il taglio di 10 punti del cuneo fiscale
(con quali soldi?), sta mettendo a
punto la riforma delle tasse e il “Jobs
Act”, il Piano per il lavoro. Vorrebbe presentarlo
in Consiglio dei ministri il 14
marzo, prima di incontrare a Berlino Angela
Merkel.
Prevede un contratto unico
per tutti e un sussidio di disoccupazione
universale. Di più non si sa. Ma ormai
manca poco per vedere le carte.