Sono ancora a Malta i rifugiati sbarcati dalle navi Sea Watch e Sea Eye il 9 gennaio scorso e che, secondo quanto annunciato dal Governo italiano, avrebbero dovuto essere affidati alla Chiesa Valdese. Lo confermano sia i Valdesi che il premier maltese Joseph Muscat. L’attracco a Malta delle due navi con a bordo complessivamente 49 persone salvate al largo delle coste libiche il 22 e il 29 dicembre 2018 sbloccò una situazione di stallo durata diversi giorni. In Italia si scatenò il solito putiferio politico che si è ripetuto in queste ore. Alla fine nel braccio di ferro tra il presidente del Consiglio Giuseppe Conte e il vice Matteo Salvini sembrò prevalere Conte, con l’annuncio, dopo un infuocato vertice notturno, che una quota di rifugiati (non più di 10, 15 persone) sarebbe stata accolta in Italia dalla Chiesa Valdese, “senza oneri per lo Stato”.
Questo l’annuncio, ma i fatti stanno a zero. “Ancora non abbiamo avuto alcun contatto col Viminale, spero sia solo una questione tecnica da parte del governo italiano perché gli altri Stati membri che avevano preso l’impegno lo hanno mantenuto”, dice il premier maltese Muscat all’agenzia Agi. Le tanto vituperate (da Salvini, Di Maio e Toninelli) Francia e Olanda hanno fatto la loro parte, così come il Lussemburgo e la Germania. L’Italia ancora nulla.
“Aspettiamo notizie anche noi”, dice Paolo Naso, coordinatore di Mediterranean Hope, il progetto sulle migrazioni della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI).
Naso, ricostruiamo quanto è accaduto finora?
“Circa tre settimane fa abbiamo ricevuto una comunicazione formale da un’agenzia della Presidenza del consiglio in cui il presidente Conte comunicava che la quota italiana di questi 49 profughi sbarcati a Malta sarebbe stata accolta dalle strutture della Federazione delle Chiese evangeliche e della Diaconia valdese. Questo sulla base di una nostra dichiarata disponibilità immediata a farci carico, in realtà, di tutti i 49 profughi. In seguito a una trattativa con vari paesi europei alla fine è stata assegnata all’Italia una quota di 10, 15 profughi”.
Poi avete avuto altre comunicazioni?
“No. Comunicazioni ufficiali non ne abbiamo più avute. Intuiamo che ci siano stati almeno due problemi. Primo: Malta avrebbe chiesto di prendere non solo i 49 della Sea Watch, ma anche altri 200 profughi che erano arrivati con missioni precedenti e che non erano stati ricollocati. Secondo: anche noi leggiamo i giornali e vediamo una dialettica fra la Presidenza del consiglio e il vice premier Salvini. Il fatto oggettivo è che non abbiamo nessuna informazione su quando arriveranno in Italia queste persone”.
L’Italia non ci fa una bella figura.
“È un peccato perché quella vicenda la ritengo molto positiva, infatti ci ha offerto un possibile modus operandi per gestire queste situazioni. Le persone vengono salvate, sono portate nel paese più vicino per evitare che i profughi subiscano altri traumi, poi una cabina di regia fra paesi volonterosi decide la quota di spartizione. Sembra l’unico modo serio, razionale e pragmatico per evitare la scena poco edificante a cui assistiamo ogni volta che una ong riesce a salvare delle persone in mare”.
Quindi il nodo diventa politico?
“Tutto diventa maledettamente complicato per ragioni che non stanno nel meccanismo in sé, ma nell’intrigo politico che ormai c’è dietro la questione dell’immigrazione. Su questo tema si giocano i rapporti di forza fra la Presidenza del consiglio e le forze politiche che sostengono il governo, tra i due vice premier, anche tra le diverse componenti del Movimento 5 stelle. Sento un linguaggio vicino alla linea pragmatica , che è quella di Conte, e un linguaggio che ricalca pari pari la versione salviniana delle cose.
Avete notizie sulle condizioni dei profughi ancora a Malta?
“Non abbiamo nessuna informazione, ma trattandosi di un paese dell’Unione europea voglio sperare che siano in condizioni adeguate al loro status di richiedenti asilo in transito verso altri paesi”.
Ma voi state facendo pressioni sul Governo per sbloccare la situazione?
“Non siamo nella condizione di esercitare pressioni, ma siamo tendenzialmente fiduciosi. Sarebbe nell’interesse dell’Italia dimostrare serietà, umanità e sopratutto pragmatismo. Se sul pragmatismo prevale invece l’ennesima sfida politico ideologica è chiaro che noi non entriamo in questo gioco. Siamo una realtà ecclesiale e questo intendiamo restare”.
I tempi per l’arrivo dei profughi in Italia potrebbero essere più rapidi o in questi casi la burocrazia ha le sue lungaggini fisiologiche?
“Noi non strepitiamo, perché non è nel nostro stile, ma venti giorni per delle procedure burocratiche come il riconoscimento, l’ accertamento dello stato di salute e le verifiche dal punto di vista della sicurezza sono tanti. Sono cose che l’Italia, con il metodo dei corridoi umanitari, fa nel giro di qualche ora”.
Quindi se i profughi arrivassero domani voi siete pronti?
“Siamo pronti nella formula ormai sperimentata dei corridoi umanitari, il progetto realizzato dalla Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia, la Tavola Valdese e la Comunità di Sant’Egidio. Non si tratta di un’ accoglienza temporanea. L’ obiettivo è accompagnare queste persone in un arco ragionevole di tempo, la nostra esperienza ci dice circa un anno e mezzo, verso una loro autonomia. Sono 10, 15 persone, quindi tre o quattro gruppi familiari. Sappiamo che una volta accompagnato al lavoro il capo famiglia, il problema di queste persone è ampiamente risolto”.