Simona mi scrive dicendomi che sono tre anni che frequenta un gruppo carismatico, ma si sente frustrata perché sebbene ami questo modo spontaneo di pregare «cantando e lodando, invocando lo Spirito Santo e parlando in lingue», non riesce a pregare in lingue: «Non so se sono io rigida o proprio non concepisco questo modo di pregare. Sono io sbagliata o ad un livello spirituale basso da non comprendere questo dono, oppure con Dio ognuno ha il suo modo di pregare, che non deve essere per forza questo?». La glossolalia è un carisma dello Spirito Santo attestato soprattutto da Paolo, che in 1Corinzi 14 riflette sulla dimensione comunitaria dei carismi.
Torneremo a Paolo, ma direi che a monte bisognerebbe distinguere tra chi riceve il dono di pregare e di profetizzare in lingue e chi si lascia andare quasi come il balbettare di un bambino. Nessuno dei due fenomeni è sbagliato, ma è importante distinguere. Non ogni volta che una persona apre bocca con parole incomprensibili sta profetizzando in lingue. Fatta questa distinzione, mi piace riportarti un’interpretazione che mi è sembrata interessante: durante la preghiera, la persona si sente come una bambina e/o una innamorata che vorrebbe dire tutto il suo amore al Signore, ma le parole non riescono a dirlo: per questo si lascia andare a quel riposo spontaneo della lingua e della melodia che dice parole oltre le parole.
Veniamo a te e alla tua domanda: ti devi sentire sbagliata perché non senti questo trasporto? Innanzitutto, proprio perché il pregare in lingue è un dono, non puoi pretendere di averlo. Inoltre, la preghiera è un rapporto personale e spontaneo. Ognuno prega secondo la sua sensibilità, esperienza e doni. Quindi il mio consiglio è questo: non affliggerti se non puoi pregare in un modo che magari per un’altra persona è il “non plus ultra”. La preghiera è un rapporto d’amicizia e d’amore con il Signore che deve trasformarci e unirci a lui e agli altri.
Lo stesso Paolo aveva la sua preferenza per il dono della profezia: «Vorrei vedervi tutti parlare con il dono delle lingue, ma preferisco che abbiate il dono della profezia. In realtà colui che profetizza è più grande di colui che parla con il dono delle lingue, a meno che le interpreti, perché l’assemblea ne riceva edificazione» (1Corinzi 14,4-5). Si vede come per Paolo ciò che conta è il frutto, il bene che se ne ricava per il proprio cammino e soprattutto per quello della comunità.