Gli immigrati siamo noi. Lo siamo sempre stati, continuiamo ad esserlo. Il nostro Paese esporta più cittadini italiani all’estero di quanto importi immigrati dal Sud del mondo e dall’Europa. E’ quanto risulta dal Rapporto Italiani nel mondo della Fondazione Migrantes della Caritas. Il saldo è negativo e ci riporta a un’epoca lontana di secoli, quando gli immigrati eravamo noi. A cavallo tra l’Ottocento e il Novecento più di dieci milioni partirono per le Americhe nell’epoca che è stata definita della Grande emigrazione.
L'ondata di emigrazione partì dal Nord (Veneto, Friuli e Piemonte) per estendersi al Mezzogiorno. Negli anni Cinquanta, parallelamente al colossale travaso di italiani da Sud al triangolo industriale racchiuso tra Torino genova e Milano, milioni di italiani partirono alla volta dell’Europa (Svizzera, Germania, Paesi Scandinavi, Inghilterra, Irlanda). Un fenomeno che in fondo non è mai cessato, a parte il decennio dei ruggenti anni '80 e '90. Noi siamo il popolo che ha inventato il passaporto rosso, il documento del Regno d'Italia che dopo la Prima Guerra Mondiale veniva distribuito ai poveri per spingerli a espatriare e a cercare fortuna altrove. Per questo dovremmo guardare a chi viene in Italia in cerca di fortuna con un minimo comprensione e di coerenza morale. Il passaporto rosso è stato abolito nel 1928, ma noi ce lo portiamo dietro ancora nella storia.
Tra l’altro la prima regione per numero di emigranti, secondo il Rapporto Migrantes, è il Friuli Venezia Giulia, come se la ruota della storia avesse compiuto un giro e fosse ritornata esattamente da dove era partita. Va detto che gli emigranti di oggi sono molto cambiati rispetto ai nostri antenati e ai nostri nonni. Solo una percentuale minima se ne va per dire addio per sempre la sua terra come avveniva i primi del Novecento. La maggior parte, composta in media da giovani dai 20 ai 35 anni, desidera fare un’esperienza all’estero, per poi magari tornare con un bagaglio di conoscenze e ritrovare in Italia tempi migliori, come se svernasse da un punto di vista lavorativo da un’altra parte. Resta il fatto che siamo il Paese dalle mille contraddizioni: continuiamo a emigrare ma non vogliamo che gli immigrati vengano da noi a fare lavori che non vogliamo più fare.