A breve non si parlerà d’altro: una drammatica cronaca quotidiana che tristemente terrà compagnia agli italiani per tutta l’estate. E, all’improvviso, a eccezione degli (sporadici) casi di omicidio, violenza, abusi con cui i media, durante il resto dell’anno, si affannano a sottolineare la provenienza geografica dei delinquenti di turno, come se i cittadini di casa nostra fossero impeccabili, si torna a parlare di immigrazione. Senza, però, avere quasi mai il giusto punto di vista. Troppa enfasi, da un lato, e nello stesso tempo un distacco che ci fa apparire le storie di queste genti disperate come distanti anni luce dalla nostra realtà.
Però la storia racconta qualcosa di diverso: e non solo perché, come spiegano gli studiosi, una volta gli immigrati eravamo noi, ma anche perché, per come il mondo sta cambiando e trovando nuovi assetti ed equilibri, un giorno non troppo lontano quella sorte potrebbe toccare nuovamente a noi. Dunque, bisogna alzare il livello di attenzione, ancor più che quello di guardia se è vero, come è vero, che nel rapporto Sos Europe, presentato da Amnesty international, nel 2011 i morti accertati nel Mediterraneo sono stati più di 1.500, molti dei quali donne, giovani e bambini. Popoli in fuga, popoli in cerca. In fuga da conflitti, paure, povertà. In cerca di pace, democrazia e un futuro migliore. Cosa può spingere, infatti, una uomo o una donna a lasciare il poco che hanno per l’ignoto con il rischio nemmeno troppo calcolato di mettere a repentaglio la proprio vita? Il mare in tempesta, la disidratazione, condizioni igienico-sanitarie disumane sono soltanto la pistola fumante di un fenomeno del quale sarebbe opportuno prendersi cura in modo deciso restituendo agli uomini che affrontano i cosiddetti viaggi della speranza la dignità e il rispetto che meritano. Ai “fortunati” che sbarcano sulle coste del nostro Paese basta appoggiare un piede sul suolo italiano per essere già entrati a far parte, a pieno diritto, del mondo dell’illegalità: ad attenderli, quando i celeberrimi “respingimenti” in mare non hanno fatto il “loro dovere”, lunghi periodi di detenzione in centri che palesemente e irrimediabilmente risultano sovraffollati e dunque non consentono di garantire con continuità uno status dignitoso. E gli accordi bilaterali raggiunti con alcuni dei Paesi di provenienza dei migranti, a cui viene notoriamente data enfasi, non riescono quasi mai a raggiungere gli obiettivi prefissati di prevenzione del fenomeno: sorvolando su alcuni aspetti di tali trattati che appaiono di natura differente rispetto alla difesa dei diritti umani dei migranti, l’Italia ne ha già sottoscritti con Egitto, Gambia, Ghana, Marocco, Niger, Nigeria, Senegal e Tunisia. Il rapporto Sos Europe di Amnesty International esamina alcune delle conseguenze sui diritti umani per migranti, rifugiati e richiedenti asilo “coperti” dagli accordi tra Italia e Libia.
Cominciamo con una precisazione: la maggior parte di coloro che partono dalla Libia con destinazione Italia non sono cittadini libici. Il paese africano, infatti, per la sua maggiore ricchezza, è meta per migranti dall’Eritrea, dall’Etiopia, dalla Somalia e dal Sudan. Sono proprio questi la maggioranza di coloro che, non avendo trovato ciò che speravano, decidono di lasciarsi alle spalle le coste africane. Poiché la Libia non riconosce il diritto di asilo, i migranti si appellano a un sistema di protezione internazionale perché altrimenti risultano semplicemente degli “irregolari”. Sotto la dittatura di Gheddafi, lo riportano le testimonianze che oggi cominciano a dare un quadro completo del clima che per anni si è respirato con il regime del Colonnello, parlano senza mezzi termini di abusi e violenza, con buona pace dei diritti umani, a danno degli irregolari che superavano il confine entrando in territorio libico. Difficoltà che ancora oggi, nonostante la morte di Gheddafi, non consentono all’Unhcr di raggiungere accordi per una maggior tutela e sicurezza dei migranti con le nuove autorità libiche. Se possibile, la situazione si è addirittura deteriorata: la mancanza di leggi chiare, il proliferare di armi nel Paese e un’ondata di razzismo e xenofobia in particolare verso coloro che provengono dall’Africa Sub-Saharian (accusati e torturati oggi per essere stati dei mercenari al soldo del Colonnello) ostacolano un processo di pacificazione e integrazione. I media libici parlano di arresti indiscriminati quotidiani: stranieri reclusi senza possibilità di difendersi legalmente che subiscono violenze e umiliazioni. La testimonianza di uno dei detenuti riportata da Amnesty, oltre a evocare fantasmi comuni ad altre tragedie sfociate poi in veri e propri genocidi, vale più di mille parole: <Ero in casa con mia moglie e mia figlia. Ho sentito battere alla porta, poi l’hanno forzata e sono entrati al grido di “mercenari mercenari”. Mi hanno condannato per il colore della mia pelle. Hanno cominciato a percuotermi fuori da casa e hanno proseguito al campo sportivo dove mi hanno portato>. In quel luogo, secondo la ricostruzione che oggi è possibile fare, sono state torturate centinaia di persone poi imprigionate.
Nonostante le denunce della organizzazioni per la difesa dei diritti umani impegnate da anni in Libia, l’Italia tra il 2006 e il 2010 ha ratificato un numero consistente di accordi con Gheddafi, finanziando i “controlli” preventivi sui migranti in procinto di dirigersi in Italia poi culminati con la possibilità di respingere in mare i “barconi” che non fossero ancora entrati in acque italiane. Alcuni di quei trattati sono stati ribaditi e confermati dalle attuali autorità libiche ad aprile 2012. Il problema maggiore riscontrato da Amnesty in questi accordi, i cui contenuti non sono mai stati resi pubblici integralmente e sui quali gravano non pochi sospetti, è che non risulta si faccia mai riferimento anche all’altra faccia della medaglia del rimpatrio forzato dei migranti: cioè il rispetto dei diritti umani. Anche ammettendo la legalità dei respingimenti coatti, chi ha l’autorità per verificare? E chi si assume la responsabilità di verificare la presenza a bordo di rifugiati e richiedenti asilo a pieno titolo secondo le norme internazionali?
Quello che non a tutti, evidentemente, risulta chiaro, è che la cooperazione tra Libia e Italia dà luogo a due categorie di violazioni: da una parte quelle perpetrate dalle autorità libiche che l’Italia ignora o tacitamente “coondona”; dall’altra, quelle commesse dall’Italia al di fuori dei propri territori di competenza. A gennaio 2011 c’erano circa 8 mila persone con lo status riconosciuto di rifugiato in attesa di giudizio e 3.200 richiedenti asilo in Libia. "Per l'Ue, il rafforzamento delle frontiere europee è chiaramente prevalente sul salvataggio delle vite umane. Nel tentativo di stroncare la cosiddetta immigrazione irregolare, i paesi europei hanno rafforzato misure di controllo delle frontiere oltre i loro confini, senza riguardo per i costi umani. Queste misure, di cui l'opinione pubblica non è informata, pongono le persone in serio pericolo" - ha dichiarato Nicolas Beger, direttore dell'Ufficio di Amnesty International presso le Istituzioni europee.