Per la prima volta l’Italia ha un Garante nazionale dell’infanzia. Quando, poche settimane fa, il presidente dellaCamera, Gianfranco Fini, e quellodel Senato, Renato Schifani, hanno dovuto dare un nome e un volto al Garante la scelta di Vincenzo Spadafora è stata naturale.
Spadafora,37 anni, campano di Afragola, un comune a Nord di Napoli, dal 2008 è stato presidente del Comitato italiano per l’Unicef, dove ha cominciato a impegnarsi come volontario fin da ragazzino. È stato il più giovane presidente nella storia dell’Unicef, sia in Italia che nel mondo (fra l’altro ha ideato Younicef, il movimento dei giovani volontari italiani dell’Unicef). Insomma, Spadafora è da anni uno che sta dalla parte dei bambini.
Il Garante dell’infanzia esiste già in molti Stati europei e in otto Regioni italiane (Calabria, Emilia Romagna, Lazio, Liguria, Marche, Molise, Puglia,Veneto), alle quali va aggiunta la Provincia autonoma di Bolzano. Nel nostro Paese il Parlamento l’ha istituito nel luglio del 2011, a novembre è arrivata la nomina dei presidenti delle Camere, ma nei giorni in cui il Governo Monti ha varato la manovra economica c’è stato un piccolo “giallo”. In una prima bozza di provvedimenti uscita dal ministero dell’Economia pareva che la figura del Garante, insieme ad altre authority, fosse stata soppressa per esigenze di risparmio. Ma poi il pericolo è stato scampato.
«Ho avuto subito rassicurazioni dal presidente del Consiglio Monti, il quale si è dimostrato molto attento ai problemi dell’infanzia. Inoltre sopprimere il Garante sarebbe stato davvero irrispettoso nei confronti di una decisione bipartisan del Parlamento», osserva Spadafora.
– Qual è il ruolo preciso e quali sono i compiti del Garante per
l’infanzia?
«Il Garante è un’autorità indipendente e lavora in grande autonomia
nell’esclusivo interesse dei bambini. Devo rispondere al Parlamento ed
entro l’aprile di ogni anno devo presentare una relazione sull’attività
svolta.In concreto, sono libero di verificare e monitorarele azioni del
Governo e di Regioni e Comuni a favore dell’infanzia. Posso fare anche
ispezioni presso comunità e strutture, centri che accolgono minori
italiani e stranieri. Posso segnalare agli organi competenti
(Procura,Tribunale dei minorenni e Forze dell’ordine) tutto ciò che
eventualmente non va perché non risponde ai principi fissati dalla
Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia. Inoltre posso fare
proposte al Governo e al Parlamento, esprimendo il mio parere sulle
leggi in materia. Il ruolo del Garante è incompatibilecon ogni altra
attività. Agirò ogni giorno solo nell’interesse dell’infanzia».
– Siamo quindi di fronte a quella svolta culturale auspicata di
recente da Chiara Saraceno a un convegno dell’Unicef, in cui affermò che
in Italia l’infanzia sembra una realtà di cui devono prendersi cura
solo i genitori e non tutta la collettività?
«Direi proprio di sì. Vediamo che purtroppo,quando si tratta di
fare dei tagli alla spesa pubblica, è quasi automatico colpire le
politiche sociali, in particolare quelle per l’infanzia perché il
sentire comune porta ad avere maggiore attenzione per le sacrosante
esigenzedegli anziani. Ma è un approccio culturale sbagliato. Di fatto
stiamo minando la crescitadelle nuove generazioni. Far crescereun
bambino in una famiglia povera vuol dire avere quasi certamente un
adulto che saràaltrettanto povero, non in grado di liberarsi delle sue
condizioni di partenza, che formerà a sua volta una famiglia povera.
Dobbiamoinvestire sui bambini perché significa investire sullo sviluppo e
sulla crescita dell’intera società italiana».
– Il Garante disporrà di risorse economiche sufficienti per svolgere i
compiti assegnati?
«La Legge ha garantito per il primo announ milione e mezzo di euro.
Ogni anno è previsto il rifinanziamento automatico obbligatorio da
parte dello Stato. Non è una cifra elevatissima, comprendo che siamo in
tempi di ristrettezze, tuttavia può essere utilizzata bene. Non posso
sostituirmi a chi ha il compitodi fare le cose, ma posso aiutare a
mettere in circuito le buone pratiche per un uso efficace delle
risorse».
– A proposito, che fare del Piano nazionale per l’infanzia, ancora
senza fondi?
«Su questo punto farò una forte azione di lobby sul Parlamento
perché ci sia il finanziamentodel Piano, che è stato approvato ed è
anche ben fatto. Su questo intendo dare subito un segnale».
– I cittadini si potranno rivolgere direttamente al Garante?
«Sì, stiamo stabilendo delle procedure molto serie e rigorose
attraverso un regolamento organizzativo che presenterò alla firma del
presidente del Consiglio. Perciò sto incontrando parlamentari, la
presidente della Commissione bicamerale per l’infanzia, i Garanti
regionali e varie associazioni. Conto di arrivare alla firma di Mario
Monti all’iniziodell’anno, diciamo entro la fine di gennaio».
– La povertà quanto colpisce i bambini italiani? E cosa causa, in
concreto?
«Oggi, in Italia, vivono in famiglie povere oltre un milione e 800
mila bambini, fra loro 600 mila vivono in famiglie poverissime,
specialmente nelle province meridionali. La miseria, in realtà, si sta
diffondendo a causa della crisi che non conosce confini geografici.
Prima le sacche di povertà erano soprattutto al Sud, ora anche intere
periferie del Nord vivono in condizioni difficilissime. Si determina
così un livello di diseguaglianza enorme, con diverse possibilità di
accesso ai servizi sanitari, agli asili nido, alle strutture scolastiche
a seconda delle città o delle Regioni in cui si nasce e si vive. Per
non parlare dei bambini stranieri, per i quali tutti questi problemi si
amplificano ancora di più».
– I figli degli immigrati stranieri nati in Italia hanno diritto alla
cittadinanza italiana?
«La posizione del Capo dello Stato è assolutamentecondivisibile.
Spero che il Parlamento approvi una legge in linea con l’auspicio
espresso da Napolitano: questi bambini devono avere gli stessi diritti
dei bambini che nascono da famiglie italiane. È una questione culturale e
di civiltà, dovremmo solo stupirci che questa legge ancora non ci sia».
– Si occuperà della condizione dei figli delle madri detenute?
«Purtroppo non si applica quasi mai la norma che consente alle
madri detenute di accudire fuori dal carcere i loro figli fino ai 10
anni. Voglio affrontare questo problema già dalle prime settimane del
2012. Il dibattito che si è aperto sulle carceri forse ha creato un
clima di attenzione e rispetto che può aiutare a far avanzare delle
proposte concrete».
– È preoccupato dalla crescente dispersione scolastica?
«Sì, anche perché aumenta al Sud e soprattuttonella mia amata
Campania. Ma girando in Italia per l’Unicef mi sono reso conto di un
altro grave problema: i nostri bambini studiano in strutture scolastiche
assolutamente fatiscenti e a continuo rischio, come abbiamo visto in
casi drammatici e tragici. I bambini hanno il diritto di studiare in
ambienti sicuri».
– Che cosa ha imparato in tanti anni di lavorocon l’Unicef?
«Ho imparato soprattutto ad ascoltare, ma anche a essere
determinato e, di fronte a una decisione, a chiedermi sempre quale può
essere il superiore ed esclusivo interesse del bambino. È il solo
criterio per farela scelta migliore».