«Il suo non è un ritorno al passato, non è una vecchia classe dirigente che
ritorna. Sergio Mattarella è erede di una tradizione, ma è una tradizione che è
in grado di portare elementi di grande novità e anche di discontinuità nella
percezione del vissuto dei cattolici presenti in politica in Italia».
Padre Antonio Spadaro, Martinazzoli direbbe che è il seme di una storia che
torna a germogliare. Un seme antico, ma che dà sempre frutti nuovi.
«Certamente si può dire così. Lui è l’erede di questa tradizione di
cattolicesimo democratico e la incarna nel nostro contesto storico: non è un
ideologo. Lo ha detto esplicitamente, del resto: non è detto che il passato sia
migliore del presente. E poi dobbiamo considerare il fatto che comunque nel
recente passato, nel corso della cosiddetta "seconda Repubblica", Mattarella ha
avuto un ruolo politico non di primo piano e lo ha giocato con discrezione:
questo oggi gli dà freschezza».
Che tipo di cattolico è Mattarella?
«Un cattolico che sente la politica come vocazione. Quindi non un politico
cattolico, ma un cattolico che sposa la politica che da lui è stata avvertita
come un’urgenza fisica. Dobbiamo ricordare che il suo ingresso in politica è
avvenuto a seguito della morte del fratello, da questa ferita nella carne. E
quindi spinto dall’atteggiamento di Piersanti – di cambiamento e di rottura
rispetto a una democrazia cristiana collusa con la mafia - Sergio Mattarella
prosegue il cammino di impegno contro la corruzione. Questi sono due punti
importanti. Il primo: è un politico divenuto tale, verrebbe da dire, al di là
delle sue previsioni e della sua naturale inclinazione, per necessità "morale".
Il secondo: il suo ingesso in politica è stato motivato da un bisogno di onestà
e di lotta alla corruzione. Penso che si capisca bene che tipo di cattolico sia
Mattarella riguardando un video con una sua intervista al Movimento studenti dei
giovani di Azione Cattolica che ho voluto subito condividere su twitter. In
questo video emerge la sua formazione remota, dai tempi del liceo e
dell’università. Essa è avvenuta pienamente negli anni del Concilio,
estremamente significativi per la Chiesa. Nel video lui parla degli anni del
Concilio come anni di "entusiasmo, di speranza e di innovazione". Tre parole che
per me sono paradigmatiche in questo momento. Soprattutto la speranza».
Quali sono i tratti di somiglianza con papa Bergoglio?
«Parlare di Concilio significa parlare di fede che abbraccia la storia.
Mattarella ha fatto tesoro di questo il legame con la storia. Lui ricorda gli
anni di formazione come un tempo di sogni e di ideali. Mi colpisce però che
parlando di questi ideali afferma che essi erano radicati in un impegno fondato
nella storia del Paese. Quindi il suo non è un impegno utopico-ideologico, ma è
fatto di sogni e di ideali che sono fondati e radicati nella storia. Questa è
esattamente la concezione dell’utopia non ideologica che molte volte papa
Francesco ha espresso. Lo ha detto in modo molto forte ai giovani in Brasile
dicendo che senza utopia un giovane non è veramente giovane. E che tuttavia
l’utopia non è quella che un certo utopismo ideologico ci ha fatto conoscere, ma
è quella spinta ideale che si fonda su valori che si incarnano nella storia. C’è
un rapporto positivo con la storia, dunque, che poi – lo ripeto – è uno dei
fulcri del Concilio. Quello tra fede e storia è un rapporto che vede la fede
abbracciare la storia e riconoscere il Signore che agisce nella storia
stessa».
Lei ha detto che quello di Mattarella non è un cristianesimo muscolare. In
che senso?
«Nel senso che non è ostentativo o impositivo. È un cristianesimo che vive
a disagio il conflitto laici-cattolici. Invece concepisce un impegno in politica
come perseguimento del bene comune su una base laica. Anche questo è un punto
forte di convergenza con Bergoglio. La laicità dello Stato fa sì che tutte le
forze vive di una società possano convergere nella costruzione del bene comune.
Tra queste ci devono essere i credenti. Quindi non c’è tanto la chiamata a
raccolta di politici cattolici, ma la volontà che la fede permetta di lavorare
insieme agli altri verso il bene comune».
Cos’altro lo unisce a Francesco?
«Certamente la fiducia nel dialogo. Vivendo l’esperienza del Concilio lui
viene colpito da alcune cose, una di queste è l’universalità della Chiesa.
Perché nell’universalità vede la convergenza di differenze che però vengono
vissute all’interno di un quadro comune. La sua formazione in Azione cattolica,
con i gesuiti, con i rosminiani, con la pro civitate cristiana, gli anni del
Concilio, lo spingono a riflettere. Sempre in quel video che citavo lui afferma
che studiare insieme, vivere insieme ad altri lo ha aiutato a comprendere le
esigenze, i problemi e le attese di chi gli stava accanto. Se si cresce, lui
dice, si cresce insieme. Parole praticamente identiche sono state usate varie
volte da papa Francesco. Questa visione del dialogo intesa come incontro e
ascolto dell’altro è un valore che lui ha vissuto concretamente in quegli anni
di formazione. È una visione che ha la sua radice remota proprio nell'esperienza
del Concilio: l'esperienza che questa universalità della Chiesa si declinava
all’interno di un incontro di diversità».
E poi anche lo stile di sobrietà.
«Certamente ci sono questi dettagli che per adesso sono degli elementi
esteriori che però fanno molto riflettere. C’è una sobrietà nei gesti, nelle
dichiarazioni e nello stile di vita. In questo senso si vede che la sobrietà non
è solo un elemento esteriore, ma dice un vissuto profondo. Notiamo pure che sia
Mattarella sia Bergoglio non erano "mediatici": il loro profilo è stato sempre
basso».
Un cattolico laico e libero?
«Mi colpisce nelle parole di Mattarella il suo ricordare che, all’interno
di un quadro di riferimento condiviso, abbia tenuto spazi di ricerca personale
per costruire i propri itinerari. Mattarella ha fatto riferimento insieme a
Epitteto e al Vangelo ricordando la frase del filosofo che dice “la cultura vi
farà liberi” e quella delle Scritture “La verità vi farà liberi”. La cultura e
il Vangelo, dunque, sono convergenti nell’obiettivo di rendere la persona
libera. Mattarella viene da una cultura per la quale il Vangelo è un messaggio
che libera, cioè che porta l'uomo alla sua statura più alta. E, alla luce di
questo, lui legge anche il valore della cultura che, come valore spirituale,
libera la persona e la aiuta a crescere e a trovare la propria strada».