(Foto Reuters: Pedro Sánchez con la moglie Begoña Gómez durante la notte elettorale a Madrid)
Il premier uscente Pedro Sánchez è il vincitore alle urne. All’indomani delle elezioni politiche anticipate in Spagna, il primo risultato evidente è che il Partito socialista operaio spagnolo (Psoe) torna ad imporsi alle urne - con quasi il 30% dei consensi - come prima formazione dopo undici anni - dall’ultima vittoria del Psoe guidato da José Luis Rodriguez Zapatero nel 2008 - anche se con numeri inferiori rispetto alle aspettative prima del voto. I socialisti sono l’unica forza in grado di formare un nuovo Governo, ma non potranno farlo da soli: con i loro 123 seggi ottenuti nel Congreso de los diputados dovranno necessariamente cercare un’ampia e solida coalizione.
Il blocco di destra resta lontano dalla possibilità di formare un esecutivo. I socialisti avevano paura che a livello nazionale si ripetesse quanto avvenuto in Andalusia lo scorso gennaio, quando la regione autonoma, storica roccaforte del Psoe, dopo 36 anni di Governo socialista ininterrotto è stata espugnata dal Pp proprio grazie all’apporto di Vox. Ma l’effetto Andalusia non si è registrato. Le urne hanno dato una pesantissima batosta al Partito popolare di Pablo Casado, che ha ottenuto meno del 17% dei consensi (con una caduta da 137 a 66 deputati). La catastrofe che ha travolto il 38enne Casado – diventato presidente del partito nove mesi dopo le dimissioni di Mariano Rajoy - è il dato più clamoroso di queste elezioni. Il Pp ha pagato il frazionamento della destra, perdendo consensi a favore di Ciudadanos e Vox, e ora la dirigenza sarà costretta a un radicale ripensamento interno.
Ciudadanos di Albert Rivera - l’altro partito di centrodestra – è cresciuto ma non tanto da raggiungere l’obiettivo di sorpassare i popolari, fermandosi a 57 seggi. Vox, la relativamente nuova formazione ultranazionalista guidata da Santiago Abascal, è entrata in Parlamento, con 24 deputati, un risultato comunque non sufficiente per formare un blocco maggioritario delle destre (che significa almeno 176 seggi su un totale di 350 nel Congreso de los diputados). L’ingresso nel Congreso del partito di Abascal è un dato significativo: come ricorda El País, la Spagna, fino ad oggi unico grande Paese europeo a non avere una rappresentanza di estrema destra, si allinea così con la tendenza del resto dell’Europa (pur mantenendo l’ultradestra in una posizione molto circoscritta, lontana dalla possibilità di governare).
Esclusa un’alleanza con Ciudadanos, per formare il Governo Sánchez dovrà allearsi con Unidas Podemos di Pablo Iglesias – che ha subìto una battuta d’arresto rispetto alle elezioni del 2016, ottenendo 42 seggi - e il Partito nacionalista vasco (Pnv), con sei seggi. Dal canto suo, Iglesias ha riconosciuto che si aspettava un risultato migliore, ma che gli obiettivi fissati da Unidas Pomedos sono stati raggiunti: «Fermare la destra e l’ultradestra e costruire un Governo di coalizione delle sinistre».
In Catalogna, gli indipendentisti di Erc (Esquerra unida republicana), guidati da Oriol Junqueras, conquistano la vittoria, affermandosi come primo partito nella regione autonoma e ottenendo 15 seggi (seguiti dal Partito socialista catalano). Un risultato dalla portata storica: per la prima volta nella storia democratica della Spagna un partito indipendentista si impone come prima forza alle elezioni generali. Nel complesso, le forze dell’indipendentismo catalano hanno raggiunto il loro miglior risultato di sempre alle consultazioni politiche. Il voto in Catalogna segna il tracollo di Junts per Catalunya, la formazione dell’ex presidente della Generalitat Carles Puigdemont (che si trova in esilio in Belgio, dopo la fuga seguita al referendum e alla proclamazione dell’indipendenza della Catalogna a ottobre del 2017).
Aldilà dei risultati, a colpire delle elezioni spagnole è il dato straordinario dell’affluenza alle urne: più del 75,7% degli aventi diritto al voto si è recato alle urne, ancora di più che nel 2016, registrando la mobilitazione più elevata in Catalogna (più del 76%). Una partecipazione più elevata (quasi l’80%) nelle democrazia spagnola si era registrata soltanto nel 1982, quando venne eletto il socialista Felipe González. Segno forte, importante di quanto gli spagnoli siano coscienti di vivere un momento cruciale della storia del proprio Paese.
«Ha vinto il futuro, ha perso il passato», ha dichiarato il 47enne economista Sánchez durante la notte elettorale, in jeans e camicia bianca davanti ai suoi sostenitori a Madrid, affiancato dalla moglie María Begoña Gómez. «Abbiamo mandato un messaggio di ciò che non vogliamo: non vogliamo l’involuzione, non vogliamo la reazione, non vogliamo tornare indietro. Vogliamo un Paese che avanzi e che guardi al futuro».