Casal di Principe, piccolo Comune della provincia di Caserta. Qui, sotto al cartello che indica l'ingresso in paese, c'è una scritta “Terra di Lavoro”. Ma per tutti è una terra di martiri e di grandi difficoltà. Non c'è pace per i casalesi, quelli buoni, quelli che abitano e vivono la città non il clan che col suo nome ha diffuso fango, morte e sangue sulle vite di uomini e donne. Renato Natale, sindaco di 21.500 abitanti, si è dimesso perché la procura di Santa Maria Capua Vetere non ha concesso un rinvio all’abbattimento per abuso edilizio di una casa abitata da due famiglie con difficoltà economiche. “In questa vicenda” ha dichiarato Natale “non riesco a coniugare legalità e giustizia, e in questo caso specifico, legalità non è giustizia”. Legalità, una parola tanto cara a Don Peppe Diana. Parroco, educatore, attivista boyscout ma soprattutto amante della sua terra, don Peppe è stato assassinato dalla camorra il 19 marzo del 1994. E proprio contro la “sua” casa, contro quel bene un tempo di proprietà della camorra e poi confiscato e destinato ad attività per il legale, che qualcuno ha fatto fuoco con una pistola. L'immobile è la sede del Comitato don Peppe Diana. A denunciarlo gli attivisti che “attendono fiduciosi” l'esito delle indagini dei carabinieri ed annunciano di andare “avanti tranquillamente con il nostro operato”. Dopo la scoperta degli spari contro la sede del comitato, un bene confiscato alla camorra, da più parti sono arrivati messaggi di solidarietà e l'invito ad individuare quanto prima i responsabili. “Siamo con il Comitato, siamo la stessa comunità in viaggio per liberare i nostri territori”.
Così in post sul profilo Facebook di Libera Campania dove si legge: “continueremo ad essere "Partigiani del Bene" e a coltivare speranza, ispirati dallo straordinario messaggio che il sacrificio di don Peppe ci ha consegnato. Non ci fermeranno perché c'è ancora tanto da fare per spazzare via la camorra da queste terre. Non ci fermeranno perché i beni confiscati sono beni di tutte e tutti e il "noi" costruito in questi anni è più forte di qualsiasi sparo. In questa Casa, la paura non è di casa”. “Un gesto di estrema gravità, che immediatamente qualcuno definisce 'una ragazzata'” dice Renato Natale. “Casa don Diana - prosegue - è simbolo dei processi di riscatto di questa città; prima la mostra degli Uffizi, a dare il segno della rinascita, e poi le centinaia di iniziative per la legalità, ma anche per la cultura, per i giovani. Quel luogo è oramai punto stabile di riferimento di decine di organizzazioni sociali”. Casa Don Diana ogni anno ospita migliaia di ragazzi provenienti da tutta Italia.
“Ai ragazzi dico di non aver paura e continuare a venirci a trovare per apprendere come è possibile riutilizzare beni confiscati per fini sociali e culturali” dice Salvatore Cuoci, coordinatore del Comitato Don Diana, associazione che gestisce numerosi beni confiscati, e che porta avanti il messaggio di riscatto e speranza di don Peppe Diana. I colpi, è emerso dagli esami balistici realizzati dai carabinieri, sono stati esplosi da un bene confiscato situato a fianco Casa Don Diana; si tratta di un immobile per il cui riutilizzo il Comitato Don Diana ha aderito alla manifestazione di interesse pubblicata dal Comune di Casal di Principe. Al momento dalle indagini non sono emersi elementi che portano verso un attentato di matrice camorristica, magari un segnale o un avvertimento, ma l'attenzione è alta. “I colpi esplosi ieri sera ci preoccupano - prosegue Cuoci - ma soprattutto per il momento in cui accadono: a Casal di Principe sembra si stia creando un vuoto, con le dimissioni del sindaco Renato Natale per la grave e ingiusta vicenda degli abbattimenti di case abitate da gente non abbiente, abbattimenti che sono partiti proprio nella giornata di ieri. Un vuoto anche di fiducia verso le istituzioni. Sappiamo che qualcuno, come la camorra, potrebbe pensare di colmare questi spazi lasciati liberi. Da parte nostra faremo il massimo perché non accada, e continueremo a portare avanti nelle terre di don Peppe Diana esempi virtuosi di gestione dei beni sottratti ai clan”.