Assistere alle prove di uno spettacolo teatrale è sempre un momento magico, poiché consente di entrare nel laboratorio creativo del regista, mentre vede concretizzarsi, davanti agli occhi, la sua idea di allestimento. Così è per la prova generale di La voluntaad de creer del regista argentino, Pablo Messiez, che, da tempo, lavora con successo in Spagna, ma è al suo debutto nazionale italiano, al Teatro Grassi, l’8 maggio, all’interno del festival internazionale Presente indicativo.
Quando si entra nel Piccolo Teatro Grassi di Milano, tra i ritratti degli allestimenti e delle prove dei capolavori di Strehler, e le foto della fondazione con Paolo Grassi, si respira la storia del teatro italiano, ma non solo. La vocazione europea del Piccolo Teatro di Milano - sostenuta con passione e preveggenza, più di quarant’anni fa da Giorgio Strehler, attento ai legami tra le arti dello spettacolo che unissero l’Europa, con l’istituzione, insieme a Jack Lang, del Théâtre del’Europe, che collegasse teatri europei e poi con l’attribuzione della qualifica di Teatro d’Europa allo stesso Piccolo - è confermata dal 2022 proprio con il festival internazionale “Presente indicativo”, quest’anno con il sottotitolo Milano Porta Europa. Il festival è un costruttivo momento di confronto fra differenti modalità di lavoro, allestendo sedici spettacoli di artisti di varie provenienze, anche extraeuropee (Francia, Polonia, Portogallo, Spagna, ma anche Argentina, Cile, Regno Unito); ogni spettacolo è in scena nella lingua originale con sovratitoli in italiano e inglese.
L’idea del regista di La voluntaad de creer, Pablo Messiez, anche attore e drammaturgo, è di riflettere, insieme al pubblico, sul rapporto tra volontà di credere e fede, così sceglie di proporre una prova generale aperta al pubblico, il giorno prima di andare in scena, rendendo tangibile e concreta l’idea del teatro antico, come frutto della partecipazione diretta degli spettatori al teatro, visto come un rito, cioè un momento di crescita personale. Afferma infatti Messienz: «Mi auguro che lo spettacolo abbia una funzione educativa e civile sul pubblico; anche in Spagna ho debuttato in un Teatro Stabile e tanta gente è venuta, tramite il passaparola; desidero che il teatro sia sempre uno spazio di condivisione; non è come altri spazi, cinema o sale da concerto, ma è un luogo in cui si offrono al pubblico strumenti di conoscenza da applicare nella propria vita quotidiana.»
La voluntaad de creer trae spunto da una frase pronunciata da Giovanna D’Arco nel film Processo a Giovanna D’Arco di Robert Bresson: interrogata su come sapesse che la voce udita fosse quella di un angelo, risponde: «Perché avevo la volontà di crederlo» e tale riflessione viene applicata alla trama, incentrata su un momento familiare delicato: Amparo ritorna dal Sud America con la moglie incinta; purtroppo la gravidanza presenta delle complicazioni e solo Juan, fratello di Amparo, è in grado di aiutarla: convinto di essere la reincarnazione di Gesù di Nazareth, vuole credere di poter operare un miracolo e, per questo, grazie alla sua fede, il miracolo si compie.
Il regista, infatti, da adolescente ateo, era rimasto profondamento colpito dal film Ordet (La parola) di Carl Theodor Dreyer, ispirato all’omonima opera teatrale del pastore protestante Kaj Munk, in cui si racconta di uno studente di teologia che crede di essere l’incarnazione di Gesù e che vive momenti di profondo misticismo come quando celebra la scena della resurrezione, ridando la vita a una donna morta poco dopo il parto, e fa in modo che altri ritrovino la loro fede. Messiez contamina, infatti, materiali preesistenti che ha assimilato per creare poi un proprio testo originale, come in questo allestimento.
Il regista spiega il valore della parola quando viene resa pubblica e comune tra gli uomini, proprio come quando si assiste a uno spettacolo teatrale: «per credere bisogna unirsi, nessuno crede da solo, come affermo nel mio testo, ispirandomi al film Ordet: il personaggio crede di essere Cristo e convince gli altri con la capacità e potenza del linguaggio di creare un accordo e il teatro è il luogo migliore per comunicare e creare accordo fra le persone.» Il ruolo del pubblico nell’allestimento infatti è fondamentale, come precisa il regista: «la necessità di “sentire” la presenza del pubblico è nata durante la pandemia, quando sono tornato in sala, dopo un periodo di passività, in cui tutti eravamo stati a lungo dietro gli schermi della tv e del computer, senza avere rapporti umani dal vivo, e ci eravamo abituati a stare dietro una barriera, senza interagire; ho voluto portare in primo piano il pubblico e interpellarlo, quindi, per esempio, durante le prove chiedevo se gli piacevano alcuni passaggi, non volevo che rimanessero in sala per inerzia, ma mostrassero la volontà di stare a teatro: infatti lo stato di sonnolenza porta a spegnersi; per questo invito anche ora chi non era interessato ad uscire, non per cattiveria, ma per provare chi davvero è presente con noi! Dal nostro lato, noi in scena dobbiamo attivare l’interesse e il coinvolgimento emotivo del pubblico, il teatro funziona se c’è uno sguardo attento anche da parte di chi lo crea. Se invece il pubblico è addormentato anche la fede dorme, come afferma un personaggio nello spettacolo, tutti credono al Cristo morto, ma nessuno al Cristo vivo che incarna la fede e lo fa non con ironia, quindi non può essere considerato blasfemo, al limite folle perché sente di incarnare Gesù.»
L’allestimento è in una scenografia bianca, con pannelli componibili, che accolgono gli spettatori come in un abbraccio, per farli sentire parte integrante della messa in scena e partecipare emotivamente al dramma dei personaggi; alcuni elementi di scena, come la bara che appare nel finale, è nera, in netto contrasto, così da ricreare l’alternanza di bianco e nero del film Ordet, che viene proiettato integralmente in un piccolo televisore messo al lato del palcoscenico, per citare il momento in cui il regista, da ragazzino, aveva visto il film per la prima volta in televisione. Sempre da ragazzino egli aveva deciso di diventare drammaturgo, di scrivere e fare teatro per non essere dimenticato, dopo aver letto, dodicenne, un articolo in cui si diceva come si possa continuare a vivere, dopo la morte, nel ricordo di chi ha letto un tuo libro o assistito a un tuo spettacolo; in quel momento Pablo ha sognato di scrivere per il teatro e, dopo essersi diplomato come attore in Argentina, ha iniziato la sua carriera di regista e scrittore in Spagna per poi ora farsi conoscere anche in Italia. Il suo metodo di lavoro, come si può vedere durante le prove, è minuzioso: cura ogni singolo particolare, ogni piccolo movimento scenico e ogni parte della scenografia mobile, trasmettendo al pubblico le emozioni che ha provato prima scrivendo il testo poi allestendolo, due momenti per lui inscindibili, poiché i due lavori si fondono, creando l’allestimento e tanto che - come racconta - anche quando i suoi testi vengono pubblicati, continua a rivedere gli attori che li incarnano dal vivo.
Il festival Presente Indicativo rimane anche, come da tradizione del Piccolo, radicato nel territorio di Milano, come dice il sottotitolo, dialogando, infatti, con luoghi, teatri e istituzioni della città tramite incontri, scambi e attività di approfondimento sugli artisti e gli spettacoli.
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