Il caso della spiaggia “fascista” di Chioggia, come ormai è stato ribattezzato il Lido di Punta Canna a Sottomarina, nel Veneziano, gestito da un nostalgico del “duce”, esplode come una bomba a orologeria sul dibattito apertosi in parlamento sull’apologia di fascismo.
Il fatto è ormai noto: il signor Gianni Scarpa, pittoresco gestore dello stabilimento di Punta Canna,non aveva trovato niente di meglio per “tenere lontano dalla spiaggia la maleducazione e il disordine”, come lui stesso ha spiegato, che riempire lo stabilimento di cartelloni inneggianti a Mussolini e al regime, conditi con saluti romani, e improvvisare per i suoi clienti comizi con megafono “stile duce”. Tra i cartelli: “Zona antidemocratica e a regime. Non rompete…”, “Regole: ordine, pulizia, disciplina”, “servizio solo per clienti… altrimenti manganello sui denti”, “camere a gas” e un bel po’ di “me ne frego” sparsi tra la struttura balneare e la battigia. Insomma una “spiaggetta nera”, com’è stata già ribattezzata, ma con 80 anni di ritardo. Risultato: la Digos ha denunciato il gestore e i cartelli sono stati fatti rimuovere da un’ordinanza firmata dal Prefetto di Venezia. Atti dovuti.
Ma, ci si chiede anzitutto: nessuno aveva mai notato prima l’appariscente “arredamento” stile Ventennio dello stabilimento e gli slogan anti-democratici andando a prendersi il sole da quelle parti? Evidentemente no, oppure sì ma tutti, davvero tutti, hanno chiuso un occhio. Dalle forze dell’ordine alle istituzioni, Comune in testa; dai politici ai semplici cittadini. Solo folklore, eccesso di goliardia: hanno minimizzato in molti sui social. In fin dei conti, che male fa un cartello? “E lì poi non è mai accaduto nulla di grave. Anzi. Da quando c’è lui, c’è pulizia e sicurezza”: si sono sentiti in dovere di commentare molti clienti di Playa Punta Canna. «Perché sprecare le già risibili risorse di uomini della Polizia in cose come queste, invece di occuparsi del controllo degli abusivi in spiaggia per il quale la polizia locale non riesce a far fronte?» ha osservato, per esempio, il vicesindaco di Chioggia, Marco Veronese.
Ma una cosa è coltivare nel chiuso delle proprie mura domestiche il culto nostalgico del duce, altro è ostentare in un’area demaniale, in un pubblico esercizio, slogan antidemocratici del tipo: “La legge della giustizia nasce dalla canna del fucile” o “la democrazia mi fa schifo. Qui vige il regime”, e amenità simili. A chi s’è dato da fare per prendere le difese del signor Scarpa, non è venuto il dubbio che in quello stabilimento si sia ampiamente superato il limite della libertà di espressione e si sia toccata l’apologia di reato? Ma anche volendo metter da parte per un momento il dibattito sul confine a volte labile tra le due cose, è mai venuto in mente ai difensori zelanti del nostro nostalgico del manganello che le parole, comunque, hanno un peso, e che se sono “ostili” sono pistole caricate non a “salve”, ma a insulti e provocazioni che “uccidono” ancor prima delle rivoltelle vere? Hanno mai pensato che parole sbagliate istigano fatalmente alla violenza? Derubricare tutto a folklore ci sembra una mistificazione. E’ stato semplice folklore anche la festa degli ultras dell’Hellas Verona di sabato 1 luglio, allo stadio Bentegodi, con i cori inneggianti ad Adolf Hitler e Rudorf Hess che, come tutti sanno, sono stati campioni di calcio veronese?
L’imbarbarimento del linguaggio, condito con l’ignoranza, porta sempre, prima o poi, a ben altri imbarbarimenti. Quel “bagnasciuga” (che ricorda il nome dato a un famoso discorso di Mussolini nel 1943) dedicato al duce a Punta Canna e il suo pittoresco gestore, per certi versi, possono far sorridere. Un po’ meno chi, seriamente, afferma che se ne debba solo sorridere.