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venerdì 29 settembre 2023
 
 

Lo spread tra Squinzi e Monti

08/07/2012  Il neo presidente degli imprenditori dialoga con la Camusso, taglia con Marchionne, fa infuriare il premier. Ma persegue la strada della concertazione e dello sviluppo, con realismo.

Nell’agone delle parti sociali si affaccia una strana coppia: quella del neo presidente di Confindustria Giorgio Squinzi e della segretaria della Cgil Susanna Camusso. Da anni l’associazione e il sindacato non erano mai stati così vicini. Ma non è solo una questione di bon ton: è interessante capire cosa c’è dietro a questo riavvicinamento e al nuovo stile del leader degli industriali. Ieri i due si sono incontrati in un dibattito pubblico a Serravalle Pistoiese per ritrovare molti punti in comune (tra molte inevitabili divergenze) e avviare una nuova fase di concertazione. E questa, al di là dell’atteggiamento nei confronti del Governo Monti, è una buona notizia, in un momento in cui qualunque soluzione per uscire dalla crisi non può che richiedere scelte e posizioni condivise anche tra le parti sociali e non la conflittualità fin qui praticata. Quando il gioco si fa duro i duri entrano in campo. Ma sono le colombe coriacee, non i falchi, che risolvono i problemi.


La vera novità, nel panorama delle relazioni industriali, è certamente Squinzi, che ha visibilmente apportato una cambio di rotta culturale rispetto alla linea della Marcegaglia, parecchio collaterale rispetto al precedente Governo Berlusconi (a parte rarissime eccezioni, ha concesso interviste solo a giornali del suo gruppo, oltre che al Sole 24 ore). Il collateralismo, considerato quasi naturale, durò almeno per tutta la prima fase del suo mandato, prima che l'imprenditrice mantovana si rendesse conto che l’Azienda Italia stava scivolando nel baratro e decidesse di passare alla critica aperta all'immobilismo del Governo del Cavaliere. 

Inoltre il patron della Mapei sembra molto più attento e sensibile alla tenuta sociale nelle fabbriche  e soprattutto nel Paese (ieri ha parlato del rischio di “macelleria sociale”, dimostrando un approccio alle questioni e una sensibilità degna di alcuni suoi illustri predecessori, come Guido Carli o Giovanni Agnelli). Squinzi non persegue la linea Marchionne e del precedente Governo, che era quella di mettere brutalmente nell’angolo la Cgil, isolandola rispetto a Cisl e Uil. Forse ha appreso la lezione di Romiti, secondo il quale un sindacato diviso è solo foriero di guai. 

E soprattutto il nuovo inquilino di viale Astronomia vuol riportare l’asse della discussione su problemi concreti, come quello del credito alle imprese, della detassazione del lavoro, del rigore, della razionalizzazione della spesa pubblica, dei finanziamenti alla ricerca e allo sviluppo. Fin dall'inizio del suo mandato ha sonoramente bocciato battaglie ideologiche sterili e inutili, buone solo a spaccare e a frammentare, come la revisione dell’articolo 18 prevista dalla riforma del lavoro (definita “una boiata”, senza molti francesismi). Con questo Governo ha un rapporto assolutamente paritetico e autonomo. La sufficienza scarsa (tra il cinque e il sei) pubblicamente assegnata dal leader degli industriali fin qui al Governo ha fatto infuriare Monti, (“dichiarazioni di questo tipo”, ha commentato il premier “fanno aumentare lo spread e i tassi a carico non solo del debito ma anche delle imprese, e quindi invito a non fare danno alle imprese”). In realtà Monti dovrebbe rallegrarsene. Se Squinzi non lo promuove a pieni voti vuol dire che le scelte fin qui fatte, pur in un doveroso contesto di confronto e di concertazione, sono state prese dal Governo in totale autonomia e imparzialità, bandendo qualunque forma di collateralismo o timore reverenziale rispetto ai sindacati, agli imprenditori o ad altri poteri “forti”.

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