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martedì 26 settembre 2023
 
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Maltrattamenti, stalking, violenze. Istruzioni per donne in balia di compagni violenti.

14/10/2015  Maltrattamenti, stalking, violenze in famiglia sono, per ragioni psicologiche, difficili da denunciare. Ma anche dopo la denuncia occorre rimanere vigili. Abbiamo chiesto a Patrizia Peroni, vice Questore aggiunto a Milano qualche consiglio per gestire la situazione con maggiore sicurezza.

Stalking e maltrattamenti, due facce (diverse) della violenza di genere, che talora finiscono in cronaca per esiti drammatici. Nella maggioranza dei casi, la violenza sulle donne arriva nell’ambito delle sue relazioni, familiari o sentimentali. A maltrattare, a menar le mani, il più delle volte, è un marito o un compagno con cui si ha una relazione in corso, a perseguitare con lo stalking  un ex che non si rassegna a una relazione andata a pezzi.

Che fare per evitare che segnali pericolosi evolvano fino alla tragedia? E soprattutto che fare nel tempo che intercorre prima che la denuncia abbia effetto? Ne parliamo con Patrizia Peroni, Vice Questore Aggiunto della Polizia di Stato, Responsabile della  IV Sezione della Squadra Mobile di Milano che si occupa di reati in danno dei minori edi reati sessuali, dove dal 2014 è in funzione un protocollo di intervento, in modo che le volanti siano preparate a riconoscere e ad affrontare la situazione, tutelando le vittime e i minori. «Fino a quando non c’è una denuncia o un esposto,», spiega, «e quindi fino a quando la situazione non finisce all’attenzione delle forze dell’ordine, parliamo in generale di violenza di genere: una condizione in cui generalmente, soprattutto nel caso di maltrattamenti in famiglia, una donna si sente sola, perché non ha il coraggio di chiedere aiuto, per molte ragioni che vanno dal non sapere come fare, perché magari non sa che c’è un centro antiviolenza cui rivolgersi sul territorio, all’imbarazzo, al paradosso di sentirsi colpevole».

Tanto più che spesso, trattandosi di relazioni o ex relazioni, a complicare la questione ci sono strascichi di soggezione psicologica o di dipendenza economica: «Non dimentichiamo che spesso le donne maltrattate non osano parlare nemmeno con la propria madre perché pensano di aver in qualche modo contribuito a innescare la violenza, di avere sbagliato qualcosa. La prima cosa importante, per difendersi, è prendere coscienza del fatto che non c’è comportamento né cultura che possa giustificare la violenza, le botte, la persecuzione».

Veniamo allo stalking che spesso arriva quando una relazione finisce, come reagire? 
«Si verifica il più delle volte quando in una relazione ormai finita il partner non accetta la situazione e mette in atto atteggiamenti persecutori di varia gravità, che generano paura e cambiano le abitudini: quando si è oggetto di queste attenzioni distorte si cambia strada, si cambia numero di telefono per non ricevere messaggi. Nei casi meno gravi spesso può bastare un esposto al Questore che, verificati i fatti, può ammonire lo stalker. Nei casi lievi spesso questo basta a farlo stare desistere, ovvio che se uno minaccia di incendiarti l’auto non può bastare serve una querela».

Spesso nei casi di cronaca si sente dire che la querela c’è stata e che l’effetto non è arrivato in tempo. C’è qualcosa che si possa fare nel tempo tecnico, più o meno lungo, che intercorre per rischiare meno?
«La prima cosa da fare, sia in caso di stalking, sia in caso di maltrattamenti, è annotarsi tutto magari su un diario, tenere traccia dei messaggi, dei comportamenti, conservare i referti medici se ci sono: più precisa è la denuncia, più riscontri ci sono, più è probabile che sia celere un provvedimento di allontanamento. Va tenuto conto del fatto che, nell’elevata litigiosità attuale, accade che la denuncia generica di una persona venga neutralizzata dalla controdenuncia del partner e che sia complicato fare chiarezza».

E dopo, quando la denuncia è partita, in attesa che abbia effetto, come ci si può tutelare da un ex insistente?
«Occorre cercare di non dare mai messaggi che possano essere “letti al contrario” e fraintesi dallo stalker: capita trattandosi di relazioni, e quindi di condizioni psicologiche delicate, che ci sia la tentazione del riavvicinamento, che si replichi ai messaggi, che si risponda positivamente alla richiesta di rivedersi per spiegarsi un’ultima volta, purtroppo è capitato e capita che dare un’ultima possibilità, nei casi più gravi, si riveli fatale».

 Quando c’è di mezzo un bambino, è impossibile evitare le occasioni di incontro dovute all’affidamento, almeno prima che il partner venga allontanato. Che fare in questi casi?
«Il consiglio più banale è che questi incontri avvengano sempre in luoghi neutri e in presenza di una terza persona, in modo da minimizzare i rischi per sé e per i bambini: quando la conflittualità riguardo ai figli è alta è infatti frequente che i bambini vengano strumentalizzati».  

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