«C’è una rappresentazione sociale dei ragazzi cupa, in cui prevale l’apatia, mentre per gli adolescenti la felicità è rilevante». Manila Bonciani è la responsabile del Meyer Center for Health and Happiness, che lo scorso anno ha condotto la ricerca La felicità tra gli adolescenti su un campione di 1.700 studenti delle scuole secondarie. Affrontiamo con lei il tema, al centro anche del raduno nazionale degli educatori scout Agesci da poco conclusosi a Verona.
Cos'è la felicità per gli adolescenti?
«Per alcuni è successo e possesso, ma non è la rappresentazione prevalente. Più di frequente è lo star bene in generale e non solo nella dimensione edonica del divertimento. Anche se istantanea, per gli adolescenti la felicità è intensa. Per alcuni è poi anche una questione di prospettiva, dell’accorgersi delle piccole cose e del non farsi sopraffare dalle difficoltà, affrontandole in maniera leggera».
I ragazzi come definiscono la felicità?
«Fanno fatica a definirla in maniera astratta, ci riescono per lo più ancorandola a situazioni concrete o usando definizioni al negativo, ovvero esprimendo cosa non è felicità. Emerge comunque chiaro che la felicità non è legata al possesso di oggetti ma alle relazioni, che dà energia alla vita ma anche equilibrio. La definiscono “fugace”, come gli attimi in cui si sta bene».
Cosa rende felice la vita degli adolescenti?
«Sono emerse tre dimensioni principali: l’interesse sociale, ovvero lo stare con gli altri, la famiglia e gli amici, la soddisfazione di vita, quindi seguire le passioni, avere interessi, sentirsi appagato per gli obiettivi raggiunti, e le emozioni positive come il sentirsi leggeri, senza ansie, il ridere e lo scherzare».
C’è qualcosa che aiuta i ragazzi a essere felici?
«Nello studio abbiamo cercato di verificare se l’essere felici fosse collegato o meno a risorse individuali come la resilienza, la creatività, la capacità di gestire gli avvenimenti, il sapersi relazionare, il saper comunicare e, ancora, il saper riconoscere cosa ci piace fare. È stato confermato che quanto più i ragazzi percepiscono di avere life skill, capacità di vita, tanto più sono felici. In ottica preventiva occorre quindi lavorare sulle competenze di vita, come l’empatia e la gestione delle emozioni, che danno gli strumenti per cercare la propria felicità».
Qualche consiglio per genitori ed educatori?
«Promuovere comportamenti cooperativi come il volontariato aiuta a sentirsi felici, così come stare con gli amici o praticare uno sport».
Avete rilevato differenze di genere?
«Le ragazze hanno una percezione più bassa del proprio livello di felicità. Maggiormente consapevoli, sentono il peso delle pressioni sociali, dell’estetica, del corpo. Articolano le emozioni in maniera più ampia, loro stesse sanno di problematizzare di più».
Cosa l’ha colpita dei risultati della ricerca?
«Ebbene, ci si focalizza spesso sul disagio degli adolescenti, che pure è molto presente e non va assolutamente sottovalutato, mentre i ragazzi non hanno solo una visione cupa della vita. C’è fermento, attenzione allo stare bene con sé e gli altri. E non dimentichiamo che uno sguardo positivo da parte degli adulti aiuta innanzitutto i ragazzi a chiarire con loro stessi cosa li fa star bene e, quindi, cosa è per loro la felicità».