Viaggio a Torpignattara, “Torpigna” per i romani. Tra i suoi parchi, la street art, l’anima cosmopolita. Come ci viene spiegato nel delizioso film Bangla: «Dopo che piazza Vittorio è diventata tutta precisa, siamo noi la zona di frontiera. Ci sono tre bande: gli stranieri, gli hipster e i vecchi».
A raccontarlo è Phaim Bhuiyan, 24 anni, «metà “bangla”, metà italiano e 100% “Torpigna”.». Simpatia travolgente, tuta da ginnastica, tanta voglia di fare. Facciamo un giro per “Torpigna”., nei luoghi dove ha girato. Per l’intervista niente locali: c’è il Ramadan, non può bere e mangiare nulla fino al tramonto. Sceglie una panchina all’ombra delle rovine romane. Nel film, scritto, diretto e interpretato da lui, è sé stesso, si chiama Phaim: il “problema” è che si innamora di una ragazza italiana. Come dirlo a casa? Come andare oltre le apparenti differenze? E soprattutto: come legare la passione con i precetti del bravo musulmano? Le domande sono tante, in una commedia che rende anche omaggio a Nanni Moretti, al suo Michele Apicella. Echi da Ecce bombo, naturalmente in salsa “Torpigna”.
5 DOMANDE A PHAIM BHUIYAN, IL REGISTA DI BANGLA
Quanto c’è di te in questo film?
«Ci siamo inventati la storia d’amore, ma per il resto è quasi tutto vero. Ho lavorato in un museo, ho avuto una band… Anche la questione della sessualità è reale. Bisogna avere pazienza, aspettare il matrimonio. Ho una forte spiritualità, credo molto nell’importanza dei valori. A volte oggi i giovani vanno troppo veloci. Serve il supporto di chi ti sta vicino, bisogna saper ascoltare. La famiglia è molto importante. I miei genitori si sono sempre sacrificati per me, anche facendo lavori molto umili. Mio padre è arrivato in Italia nel 1987 dal Bangladesh, dopo essere sbarcato in Francia. Mia mamma lo ha raggiunto nel ’92. Noi della seconda generazione dobbiamo rendere omaggio ai loro sforzi, quindi ci dobbiamo impegnare molto in ogni ambito».
Come vivi la tua fede?
«Sono musulmano. Ho iniziato a praticare tardi, a diciotto anni. Per me è stato molto importante confrontarmi con altri della mia età. Il dialogo interreligioso è fondamentale, è una sfida, specialmente vivendo in Occidente. Ma è la chiave per l’armonia. In fondo non siamo così diversi, crediamo tutti in un unico Dio. Con Bangla volevo porre degli interrogativi per poterci migliorare. Ci sono troppi pregiudizi, specialmente in questi anni difficili a causa del terrorismo. L’obiettivo era rifletterci sopra con una love story».
Com’è abitare a Torpignattara?
«Sono nato e cresciuto qui. Torpignattara accoglie persone di diverse etnie, dai cinesi agli algerini. Purtroppo siamo tutti un po’ distaccati gli uni dagli altri. C’è un rapporto cordiale, ma manca una vera integrazione. Parliamo poco tra noi. Qui a Roma stiamo vedendo anche brutti episodi di violenza, come quelli di Torre Maura e Casal Bruciato. Ma queste ostilità nascono prima di tutto dai politici, che abbandonano le periferie, lasciando soli i più poveri. Quello che mi spaventa dell’Italia è l’ignoranza. Servirebbe più cultura, per cambiare il modo di pensare e sentirci più vicini».
Parlando di te, è vero che hai un passato da youtuber?
«Sì. È stato molto formativo, perché mi ha fatto entrare nel mondo delle immagini. Avevo quattordici anni, era una sorta di valvola di sfogo. Scuola, problemi sentimentali… Purtroppo è andata male, non avevo molte visualizzazioni. L’avvicinamento al cinema è stato casuale, mi hanno ispirato i miei professori. Ho fatto un servizio per la Rai, per il programma Nemo - Nessuno escluso, e poi è arrivata la casa produttrice Fandango. Ho avuto il coraggio di crederci, dietro la macchina da presa ci so fare. Il mio sogno è di continuare su questa strada».
Nel film sostieni che l’Italia sia un “corridoio” che i migranti usano per raggiungere altri Paesi.
«Per chi viene dal Bangladesh è vero. Non vedono un buon futuro per i loro figli e scelgono di andare via. Si trasferiscono in particolare a Londra. In Italia mancano le opportunità, c’è più domanda che offerta. Io vorrei restare, contribuire alla rinascita del cinema italiano».