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domenica 28 maggio 2023
 
Tra storia e presente
 

Stati generali, che cosa sono, perché se ne parla

15/06/2020  L'espressione deriva dal diritto feudale, la ricordiamo per la Rivoluzione francese, ma oggi ha perso quasi tutto del suo significato originario. Vediamo perché se ne parla in questi giorni.

Storicamente la dizione Stati generali si riferiva a un istituto di diritto feudale francese, che prevedeva da parte del sovrano l’obbligo di consultare i vassalli. In questo senso gli Stati generali erano considerati una sorta di parlamento feudale, anche se molto diverso da quelli delle monarchie costituzionali perché privo di potere legislativo. Un retaggio di questo istituto è sopravvissuto nella monarchia d’antico regime. Il sovrano poteva infatti convocare l’Assemblea dei tre ordini sociali (aristocrazia, clero e borghesia, il cosiddetto “terzo stato”) sudditi della corona di Francia e in genere lo faceva – senza una periodicità definita – quando riteneva di dover consultare l’opinione pubblica per ottenere appoggio in materia fiscale per “finanziamenti straordinari” o per qualche altra ragione per cui servisse il sostegno di una base "forte".

Li convocò nel 1302 Filippo il Bello a Notre-Dame con l’intento di trovarvi l’appoggio nei contrasti con il pontefice Bonifacio VIII. La procedura prevedeva che i rappresentanti dei tre ordini si riunissero separatamente e che esprimessero ciascuno un voto. La convocazione degli Stati generali andò rarefacendosi con l’affermarsi dell’Assolutismo.

L’ultimo a convocarli fu il Luigi XIV nel 1614, dopodiché l’Assemblea restò in sonno per 175 anni, finché la dissestata economia dello Stato assoluto francese, che concentrava la gran parte delle proprietà terriere nelle mani della nobiltà improduttiva e del clero, non costrinse Luigi XVI a riconvocarli il 1 maggio del 1789 nel tentativo di comporre la frattura tra monarchia e aristocrazia che i tentativi di riforme finanziarie proposti dai ministri chiamati dal sovrano avevano prodotto. La convocazione fu salutata positivamente da ordini diversi che vi riponevano però opposte aspettative: l’aristocrazia sperava di rinsaldare antichi privilegi, contando sul fatto che con un voto per ordine i voti dei primi due avrebbero avuto la prevalenza; la borghesia sperava di mettere le basi per la monarchia costituzionale. Come è noto le cose precipitarono: il Terzo stato rifiutò le decisioni prese separatamente dagli altri due ordini e il 17 giugno – forzando gli ordini del sovrano - si riunì separatamente proclamandosi Assemblea nazionale. Gli storici riconoscono in questo evento il primo atto simbolico della Rivoluzione francese.

CHE COSA SONO GLI STATI GENERALI OGGI

In epoca contemporanea l’espressione Stati generali ha perduto il suo retaggio rivoluzionario ed è stata più volte ripresa in un significato politicamente neutro di consultazione allargata che coinvolga i portatori di interessi su un determinato tema. Negli ultimi anni in Italia la locuzione ha avuto molta fortuna - e non sembra aver inciso il potenziale malaugurante evocato dalla brutta fine di Luigi XVI, finito ghigliottinato - l’abbiamo sentita adoperare sovente in relazione agli argomenti più disparati dal contrasto alla mafia, all’informazione, passando per il clima.

PERCHÉ SE NE PARLA IN QUESTI GIORNI

  

Con questa accezione si parla di Stati generali dell’Economia in questi giorni per gli incontri convocati del Governo Conte a partire dal 13 giugno 2020 per una decina di giorni a Villa Pamphili a Roma, per confrontarsi con parti sociali, leader europei, vertici delle società partecipate dello Stato, esponenti dell'imprenditoria, dell'arte e dell'architettura. L’obiettivo dichiarato è elaborare un programma di rilancio del Paese a seguito degli effetti di crisi economica prodotti dal Covid. Agli incontri, pur invitata, ha rifiutato di partecipare l’opposizione, affermando di accettare il dibattito solo in sede istituzionale. Sta facendo discutere il fatto che gli incontri si tengano a porte chiuse, senza che la stampa vi possa direttamente assistere. L’Associazione stampa parlamentare e l’ordine nazionale dei giornalisti, in una nota, hanno sostenuto di non condividere «le modalità di organizzazione degli Stati generali dell’economia che riguardano il lavoro dei media».

 
 
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