La recente emergenza sanitaria provocata dalla diffusione del Covid-19 ha reso ancora più grave la condizione di ritardo strutturale in cui versa il nostro Paese, in particolare in tema di lavoro. È il momento del coraggio, si può e si deve cambiare il modello di sviluppo economico, cercandone uno che sia più inclusivo e più sostenibile. Per questo, durante l’incontro con il Premier Giuseppe Conte e alcuni esponenti del Governo, in una delle sessioni degli Stati Generali dell’economia, abbiamo fatto delle proposte in merito al lavoro di donne, stranieri, giovani (anche adolescenti) e adulti e... poveri.
Tutti questi “mondi” gravitano attorno ad alcuni assi, come la previdenza, l’assistenza e la formazione professionale. Siamo partiti proprio dalla formazione professionale, che è lo strumento attraverso il quale la formazione può incontrare il mondo del lavoro. Oggi ci sembra decisivo un provvedimento per creare un'infrastruttura nazionale forte e flessibile che consenta agli adolescenti, ai giovani, agli adulti, soprattutto quelli che hanno perso il lavoro, di essere reindirizzati per avere nuove competenze e trovare un nuova occupazione.
Serve rafforzare la filiera formativa professionalizzante, anche in modalità duale. È necessario un investimento di risorse da destinare ai Centri di Formazione Professionale per ampliare l’offerta formativa e quella di servizi di orientamento e placement. Poi è necessario creare un’infrastruttura formativa nei contesti regionali dove è ancora assente. Per questo motivo occorre rafforzare i percorsi di Istruzione e Formazione Professionale in una logica sussidiaria forte, attraverso l’intervento dello Stato nelle Regioni in cui sono del tutto assenti le adeguate infrastrutture formative che non garantiscono la possibilità di erogare percorsi di IeFP.
In secondo luogo è importante un ruolo attivo degli enti di formazione professionale all’interno di reti e partenariati per servizi integrati di formazione, qualificazione professionale, accompagnamento al lavoro, di inserimento lavorativo e inclusione sociale per tutti. L’altro settore da rilanciare è quello degli Istituti Tecnici Superiori: si tratta di percorsi alternativi alla formazione universitaria strategici per alcuni settori produttivi, come l’efficienza energetica, la mobilità sostenibile, il made in Italy, le tecnologie innovative per i beni e le attività culturali ed infine le tecnologie dell’informazione e della comunicazione.
Va potenziato il sistema degli ITS per arrivare ad una loro configurazione come veri e propri strumenti di politica attiva in grado sia di colmare il mismatch di competenze, riducendo al contempo la disoccupazione giovanile, sia di avere un’offerta formativa terziaria di livello professionalizzante in grado di competere con quella degli altri Paesi europei. Per ottenere questo risultato è necessario un Piano di sviluppo strategico dal valore di 400 milioni di euro in 7 anni.
La proposta è quella di implementare il numero di percorsi e di iscritti agli ITS fino al 4% degli studenti iscritti nelle Università. Accanto a questo grande piano di investimento sulla formazione, rivolto soprattutto alle giovani generazioni, non possiamo trascurare chi invece ha bisogno di una riqualificazione. Per far sì che il mutamento tecnologico nei rapporti di lavoro e nelle forme di produzione non si traduca solamente nella distruzione di vecchi posti di lavoro, ma offra anche nuove opportunità ai lavoratori stessi grazie alla nascita di mansioni e settori professionali innovativi, occorre investire sulle competenze delle persone che affrontano le sfide dell’industria 4.0, allineandole rispetto alle nuove esigenze del tessuto produttivo: occorre più che mai realizzare un processo di riqualificazione.
Durante l’incontro ci è sembrato fondamentale introdurre qualunque proposta avendo cura anche della reale capacità economico-finanziaria del Paese. Questo significa che si deve operare una prima grande riforma attraverso il sistema fiscale.
Dobbiamo avere il coraggio e la forza di ripensare l’Irpef recuperando i criteri (ridimensionati in questi ultimi anni) di equità ed eguaglianza che, in termini fiscali, si traducono in un’unica parola: progressività.
Il bastione della progressività, che pensavamo granitico e inattaccabile, è stato eroso da tanti piccoli attacchi esterni che hanno prodotto continue crepe. Si vedano gli esempi di forme impositive cedolari o flat che vigono sulle locazioni o sui lavoratori autonomi entro un certo monte di guadagni. La stessa progressività dell’Irpef, che prevedeva nel 1974 un ventaglio di 32 aliquote (con la massima al 72% oltre i 500 milioni di vecchie lire), è andata sgretolandosi per arrivare alle attuali 5 aliquote (con la massima scesa al 43% oltre la soglia dei 75mila euro). Il salto evolutivo da far fare al nostro sistema tributario è verso una progressività esattamente misurata sulle capacità contributive dell’individuo stesso: non più gli scaglioni ma una curva che restituisca l'aliquota puntuale al reddito puntuale.
Ma prima di arrivare a questa riforma, occorre passare da uno stadio intermedio composto da due passaggi: rivedere gli scaglioni attuali dando loro maggiore armonia in ascesa e ragionare in termini di imposta unica (unica, non flat!).
Sull'ampio versante delle deduzioni/detrazioni la nostra proposta è di una detrazione in tema di salute. Un sistema pubblico che si definisce universalistico e che si fonda sul diritto alla salute costituzionalmente garantito non può, in presenza di una spesa sanitaria media pro capite di euro 532 e di un sistema di defiscalizzazione delle spese mediche per il solo 19% al netto di una franchigia di euro 129 annue, dirsi tale.
Questo vale a maggior ragione se si tiene conto che la povertà economica si riflette anche su quella sanitaria (chi è povero comprime anche le spese sanitarie, rinunciando alla propria salute) e che i più poveri spesso non usufruiscono della detrazione del 19%, perché incapienti in quanto aventi redditi medio bassi (con l'assurdo che più poveri si è, meno si detrae). La proposta di consentire la deduzione del 100% delle spese sanitarie (senza franchigie) per coloro che hanno un reddito inferiore ai 40.000 euro, con la possibilità di vedersi rimborsato effettivamente l'importo per cui si risulti incapienti, vuole rendere universalistico il diritto alla salute almeno per questa fascia di cittadini, mantenendo l'attuale sistema per tutti i redditi superiori a 40.000 euro.
L’altra grande sfida riguarda il come tradurre i principi di equità ed eguaglianza anche nel sistema previdenziale. Va anzitutto reintrodotto un principio universalistico, non più solo selettivo, di flessibilità nell’accesso a pensione. L’attuale sistema previdenziale Monti-Fornero si caratterizza ancora per una eccessiva rigidità e onerosità dei requisiti pensionistici ecco perché sarebbe necessario introdurre in maniera strutturale il principio di flessibilità, indistintamente per tutti i lavoratori e tutte le tipologie di pensionamento, anche quello di vecchiaia. Ciò si potrebbe tradurre nel consentire l’accesso a pensione ad una età libera opzionabile a partire da un requisito anagrafico minimo (tra i 63 ed i 65 anni di età), con il possesso di un minimo di 20 anni di contribuzione e con rendimento pensionistico crescente o decrescente a seconda dell’età di accesso a pensione. Nella fase transitoria, in cui saranno ancora poste in pagamento pensioni liquidate con sistema misto, la misura potrebbe essere accompagnata dalla previsione di una penalizzazione della quota retributiva di pensione da applicare in base agli anni di anticipo rispetto ad una soglia anagrafica ritenuta “di equilibrio” (ad esempio, 2% di penalizzazione per ogni anno di anticipo rispetto ai 67 anni di età).
Inoltre abbiamo presentato delle proposte su turismo, lavoro domestico, sport e agricoltura, grazie alla collaborazione delle nostre imprese e delle associazioni specifiche, perché crediamo nell'opera dei corpi intermedi, che creano solidarietà attraverso la sussidiarietà. Valorizzare i corpi sociali significa anche difendere un'idea di democrazia e un'idea di repubblica, come quella prevista nella nostra Costituzione, soprattutto in quell'articolo 2 che descrive così bene che repubblica siamo e che vorremmo essere.