Stefania Craxi con il padre Bettino (foto Fondazione Bettino Craxi)
A destra c’è un imponente busto di Giuseppe Garibaldi. A sinistra una grande foto di Bettino Craxi con una frase scritta di suo pugno, la stessa usata come epitaffio sulla tomba del cimitero di Hammamet in cui è sepolto: «La mia libertà equivale alla mia vita». Al centro, ci accoglie sua figlia Stefania. Siamo a Roma, nella sede della Fondazione Craxi. L’occasione dell’incontro è l’uscita al cinema di Hammamet, il film di Gianni Amelio con Pierfrancesco Favino nei panni del leader socialista, dieci giorni prima del ventennale della scomparsa di Craxi. Nel film la senatrice Craxi ha un ruolo centrale. Anche perché c’era solo lei con lui nella villa tunisina di Hammamet quel pomeriggio del 19 gennaio del 2000 in cui il suo cuore cessò di battere.
Senatrice Craxi, l’ha visto il film?
«No. Ho solo parlato con Amelio. Mi ha spiegato che non gli interessava fare un film “politico”, ma che vedeva nella parabola di mio padre un archetipo delle grandi tragedie classiche, il re decaduto, i figli che si battono per difendere il padre. Io lo stimo molto come regista e pensavo avrebbe colto il nostro dolore. Così ho dato il mio assenso per girare nella nostra casa di Hammamet, ma non ho mai messo piede sul set perché ritengo che un’opera d’arte debba essere libera e la mia presenza avrebbe potuto essere in qualche modo condizionante. Ho visto Favino nei panni di mio padre e mi ha impressionato non tanto la somiglianza quanto la gestualità: c’è un tipico gesto di Bettino che gli ho visto fare, mettere la mano sugli occhiali».
Perché lo chiama “Bettino” e non papà?
«Per tre motivi. Il primo è che lo difendo perché è stato Craxi nella storia di questo Paese è non perché è stato mio padre: per me è una battaglia politica, non familiare; il secondo motivo è che chiamarlo così mentre ne parlo mi serve a mettere un po’ di distanza emotiva da lui; il terzo è che per me è stato il capo della mia comunità politica, quella socialista. La politica è stata sempre con noi. La sera ad Hammamet non parlavamo di quale film vedere in Tv, ma delle ultime notizie dalla politica».
Quindi che padre è stato?
«È stato un grande padre con il suo esempio. Nella quotidianità, invece, è stato difficilissimo relazionarsi con lui. Non conoscendo questa dimensione, non avendo idea che una bambina sia diversa da un’adolescente, quando interveniva spesso aveva lo stesso effetto di un elefante in una collezione di cristalli. Però ricordo anche gesti di grande tenerezza. Un’estate si rese conto del disagio che io e mio fratello, allora bambini, provavamo nel trascorrere sempre le vacanze ad Hammamet, dove allora non c’era nulla. Allora organizzò una caccia al tesoro con un personaggio che si chiamava Axi».
Non era quindi il papà che viene alla recita della figlia o che si informa sui suoi primi amori.
«Ma per carità! Lui non sapeva nemmeno che classe frequentavo. E se avesse saputo di un fidanzato sarebbe scoppiata una tragedia. Non dimentichi che mio padre era siciliano. Papà aveva molto pudore nel manifestare i suoi sentimenti. La ruvidezza era lo strumento che usava per nascondere la sua innata timidezza».
Il film si concentra sugli ultimi mesi di vita di suo padre. Qual era il suo stato d’animo dominante?
«Stava molto male, la malattia lo consumava tanto che faceva sempre più fatica a reggersi in piedi. Ma si avvertiva in lui un dolore molto più profondo. Papà ha iniziato davvero a morire quando si è rassegnato all’idea di non tornare più nel suo Paese. Dopo l’assoluzione di Andreotti, di cui fu felice, e quando il presidente della Repubblica Ciampi nel suo messaggio di fine anno non disse nulla su di lui, commentò: “Sono rimasto io l’unico delinquente di questo Paese”».
Può raccontarci il suo ultimo giorno? Lei sapeva delle sue condizioni di salute?
«Sapevo che, nonostante l’operazione, il tumore non era andato via. Ma cercavo in tutti i modi di rimuovere questa cosa. Arrivai quella mattina per dare il cambio a mia madre che doveva partire per Parigi per fare pure lei delle cure. Quando lo vidi gli dissi: “Papà, siamo soli. Stasera usciamo un po’”. Lui lesse i giornali e scribacchiò qualcosa. Poi pranzammo e guardammo alla Tv il programma di Paolo Limiti. Dopo un po’ mi disse: “Non mi sento molto bene. Vado a sdraiarmi. Portami un caffè”. Quando tornai con il vassoio, lo trovai riverso sul letto in una posizione innaturale. Mi precipitai verso di lui e lo vidi esalare l’ultimo respiro».
I giudici gli offrirono gli arresti domiciliari in modo da consentirgli di tornare in Italia per curarsi. Perché rifiutò?
«Dopo la sua morte, gli offrirono i funerali di Stato. Allora mi chiedo: se era considerato uno statista, perché non aveva diritto a essere curato da uomo libero?».
Perché al momento della sua morte aveva già ricevuto due condanne denitive, per complessivi dieci anni di carcere, per corruzione e illecito nanziamento ai partiti. Più altre condanne non definitive.
«Ma allora perché i funerali di Stato se era davvero un “delinquente matricolato” come lo definì un pm di Mani pulite?».
Le due cose non possono andare insieme? Suo padre non può essere considerato uno statista che ha reso degli importanti servigi al suo Paese, ma ha anche commesso dei reati?
«Mio padre è stato condannato sulla base del principio per cui non poteva non sapere. Nel 2003 la Corte europea di Strasburgo a sua volta condannò lo Stato italiano per violazione dei diritti umani in quei processi. Ma togliamo ogni ipocrisia. Il finanziamento illecito ai partiti non l’ha inventato Craxi. In Italia c’era la guerra fredda e quei soldi servivano per tenere legato il nostro Paese all’Occidente e quindi alla libertà, a fronte di un Partito comunista che prendeva altri soldi da una potenza nemica, cioè l’Unione Sovietica. In quanto alla storia del “tesoro di Craxi”, tutti sapevano il tipo di vita che facevamo. Bastava interrogare gli uomini della scorta che stavano con papà 24 ore su 24»
Lasciamo il lato giudiziario e torniamo a quello umano. In quegli ultimi mesi, almeno con lei, suo padre non fece mai un’autocritica?
La senatrice si ferma un attimo. Poi prende un foglio e su un altro inizia a scrivere con un pennarello blu. Quando ha finito, lo legge: «“Quello che dovevo dare l’ho dato con tutto il mio carico di idealismo, impegno, buona fede (che poi ho visto spesso tradita), ed anche con tutto il mio carico di errori. Ecco, dovrei ripercorrere un lungo cammino e compilare la lista degli errori”. È una frase che mio padre scrisse poco prima di andarsene. Ecco, tenga il foglio».
È vero che, nonostante la sua opposizione, lei cercò comunque di convincere suo padre a rientrare in Italia per curarsi?
«Sì, cercai. Ma purtroppo non ci sono riuscita».
L’orgoglio di Stefania Craxi per un attimo cede alla commozione.
In definitiva, cosa si aspetta da questo film?
«Metto in conto che ci saranno delle cose che non mi piaceranno. Ma spero che questo film faccia riflettere, che apra una discussione su Craxi, uno statista che deve tornare a far parte della memoria condivisa di questo Paese. E che mostri tutto il dolore di un uomo costretto a stare lontano dalla sua patria per cui ha lavorato con passione per tutta la vita».