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domenica 03 novembre 2024
 
Tecnologia & storia
 

Una lady innamorata aprì l'era dei computer

12/08/2021  Quarant'anni fa, il 12 agosto 1981, l'IBM annunciava la nascita del primo personal computer. Ciò che in quegli anni rasentava la fantascienza oggi è realtà quotidiana. Negli stessi mesi, anche Famiglia Cristiana testimoniava il vertiginoso sviluppo della tecnologia riuscendo ad interpellare gli esperti del Mit di Boston grazie a questo articolo di Ida Molinari uscito nel novembre 1981 che qui riproponiamo

Quarant'anni fa, il 12 agosto 1981, l'IBM annuciava la nascita del primo personal computer. Negli stessi mesi, Famiglia Cristiana, grazie a questo articolo di Ida Molinari (che qui pubblichiamo) uscito sul numero 45 del 15 novembre 1981, riusciva ad interpellare i massimi esperti che lavoravano presso il Mit (Massachusetts Institute of Technology) di Boston (USA) e informava i propri lettori, con dovizia di particolari, sugli enormi passi avanti compiuti dalla tecnologia, con uno sguardo anche alla storia. E intanto potenti calcolatori elettronici facevano la loro comparsa anche nella nostra redazione. Ciò che in quegli anni rasentava la fantascienza oggi è realtà quotidiana.

Nel 1946, appena finita la guerra, gli scienziati che avevano speso quegli anni in semìcattività, o perché impegnati in progetti segreti o perché profughi, ricominciarono a girare il mondo. E con essi le nuove idee. Un giorno Gleb Wataghin, un fisico russo che aveva trovato rifugio nel nostro Paese, rivide per caso il suo vecchio amico John von Neumann, il matematico unghe­rese che, esule negli Usa, vi aveva costruito il primo cervello elet­tronico per i complessi calcoli necessari al programma nucleare della grande potenza. A Wataghin, che gli rimproverava di aver trascurato la matematica per le armi, rispose che il suo lavoro era sempre la matematica. Ma si sarebbe rivelato più esplosivo della bomba atomica. L'èra dei computers, che ci sta ora portando nella seconda rivoluzione industriale, era cominciata.

I calcolatori, in verità, sono ben più antichi dell'elettronica. Dopo il pallottoliere e l'abaco, il primo strumento di calcolo è stato il regolo. Ideato in Scozia nel 1600, è stato "mandato in pen­sione" solo cinque anni fa dal boom dei calcolatori tascabili. Tra questi due estremi, che an­cora convivono in molte scriva­nie, la strada è stata lunga ed eccitante. I primi calcolatori meccanici furono opera di bambini-prodi­gio. Nel 1700 Blaise Pascal, adolescente, costruì per il padre, agente delle tasse, una farragi­nosa "pascalina" montata su ro­telle ed ingranaggi complicatis­simi. Le ansie religiose lo porta­rono poi altrove, ma, anni dopo, un altro filosofo, Leibnitz, anch'egli ancora giovanissimo, se ne interessò ed ebbe un'intui­zione geniale. Per semplificare quelle rotelle dentate bastava abbandonare il sistema deci­male antropomorfo - dieci simboli con dieci dita - e tor­nare all'antichissimo sistema binario che si serve di due soli simboli, l'1 e lo 0.

Si parte da zero che si scrive 0, si continua con l'uno che si scrive 1. Si arriva a due che si scrive 10, il tre si scrive 11, il quattro 100 e così via. Il dicias­sette già si scrive 10001. È un metodo che a noi può apparire troppo complicato, perfino un po' folle: cifre che arrivano a coprire intere pagine di due soli simboli sono difficili da affer­rare per il cervello umano. In­vece per un calcolatore nulla è tanto conveniente quanto la semplicità di questo sistema bi­nario che, avendo due simboli soli, permette di esprimere tutto con un movimento di va e vieni. 

La brillante idea di Leibnitz venne raccolta anni dopo, in In­ghilterra, mentre l'industrializ­zazione stava rendendo davvero ardua la contabilità tenuta col calcolo manuale. Fu Charles Babbage che sostituì alle com­plesse rotelline a dieci denti di Pascal un sistema di semplici punzoni che, alzandosi ed ab­bassandosi, esprimevano I'1 e lo 0. Babbage era un genio del cal olo e della meccanica; con l'aiuto della contessa Ada di Lo­velace, figlia di Lord Byron, co­struì il primo computer già do­tato di un meccanismo di input per introdurre i segnali binari, di un'unità di calcolo, di una me­moria ed, infine, di un meccanismo di output che forniva i risul­tati delle operazioni. Egli aveva capito quale rivoluzione il si­stema binario utilizzato nelle macchine da calcolo avrebbe permesso se solo si fossero po­tuti costruire meccanismi molto veloci, capaci di far sfilare rapi­damente sequenze aritmetiche lunghe pagine intere. Fu un uomo troppo avanti per il suo tempo, non fece che sognare tecnologie impossibili; non aveva a disposizione che quella dei primi telai funzionanti a schede perforate, innovazione allora strepitosa. ma del tutto inadeguata per il calcolatore. Ed infatti il suo assomigliava dav­vero ad un telaio, veniva azionato a mano, faceva un fracasso terribile e, mentre calcolava, tremava tutto per il lavoro frene­tico dei punzoni che bucavano le schede. 

Il sogno della macchina ve­loce fece impazzire Babbage, che morì senza poter vedere le applicazioni dell'elettricità, le quali, molti anni dopo, avreb­bero permesso il vero salto di qualità mediante i relé elettro­magnetici. Il contributo decisivo lo diede Von Neumann che, la­vorando a Los Alamos durante la costruzione delle prime armi nucleari, utilizzò anche lui, per la segnalazione binaria, l'ele­mento più veloce a disposizione, e cioè l'elettrone, ma servendosi di valvole (tubi catodici). Erano poste così le basi per la rivoluzione informatica che noi oggi sappiamo alle porte, ma di cui abbiamo concetti oscuri e confusi.

Proviamo a chiarirli nei due luoghi in cui si è fatto il lavoro pionieristico sui calcolatori: prima a Los Alamos, dove Von Neumann adottò l'elettronica, quindi al Mit di Boston dove vi è un prestigioso "Centro per l'intelligenza artificiale''.

A Los Alamos non si parla più del singolo computer, ma della rete computerizzata composta di calcolatori di ogni dimensione in comunicazione fra loro: tutti assieme costituiscono l'apparato più potente al mondo, sottoposto quindi a rigide misure di sicurezza. Nel laboratorio abbiamo incontrato, ma senza poterli fotografare tre degli specialisti che che si occupano di questo apparato: Dennis Perry. Lawry Man, Ray Ellis. 

Una prima cosa è subito chiara: queste macchine silenziose ed eleganti da cui si diffonde una siderale luce blu altro non sono che i parenti ricchi del "motore analitico" costruito da Babbage un secolo fa.

Uguale è la struttura logica, identica la tecnica matematica, che riduce anche le operazioni più complesse in quelle più elementari, cioè in addizioni algebriche. Identico il sistema: infatti il passaggio e l'interruzione di corrente - on e off - esprimono sempre e solo i due simboli binari. Sono detti in inglese binary digits, e per questo oggi si usa così spesso il termine ''digitaliz­zazione". Simili, infine, sono i dilemmi. L'inventore inglese, dettando il diario alla sua amo­rosa Lady Lovelace, si chiedeva: « Il motore analitico potrà mai inventare, creare, immagi­nare?». Domande non troppo diverse se le pongono gli uomini che oggi hanno a disposizione una tecnologia meravigliosa, quella che Babbage non ebbe mai. Ma se la struttura concet­tuale non è mutata, qual è stata la scoperta che ha portato alla rivoluzione informatica dei no­stri giorni?

« La miniaturizzazione», di­ce Dennis Perry, «permessa dai semiconduttori a stato solido. I tubi catodici sono stati sostituiti dai transistors, quindi dai cir­cuiti integrati. sempre più pic­coli, sempre più veloci. Non è stata l'invenzione di un singolo, ma il lavoro di centinaia di per­sone: la ricaduta tecnologica più spettacolare delle imprese spaziali». Chip, scheggetta, si dice in in­glese quella capocchia di spillo he ha preso il posto di valvole grosse come lampadine. E co­struita con materiali semicon­duttori silicati che, avendo la proprietà di lasciare passare la corrente in una sola direzione, costituiscono delle valvole natu­rali. Le impurità che conten­gono, inoltre, amplificano i se­gnali che ricevono: quindi la corrente domestica è sufficiente a far funzionare un moderno computer. I silicati sono modesti minerali di cui sono fatte le mon­tagne e la sabbia dei mari. Ab­bondantissimi, non costano quasi nulla: ed ecco perché si parla anche di "civiltà del sili­cio".

«Una sola chip», prosegue Dennis Perry, «svolge le fun­zioni che, trent'anni fa, richie­devano un armadio pieno di val vole. quarant'anni fa una stanza colma di circuiti e relé. Quelle microscopiche piastrine di silicio formano l'unità di calcolo (che è sempre più veloce) e la memoria (che è sempre più va­sta). Quindi i computers sono sempre più potenti. più robusti, più piccoli, più facili da riparare e molto più a buon mercato. Credo che tutti questi vantaggi insieme non siano mai toccati ad altre tecnologie». 
«Dove andiamo?». si chiede ancora Perry. «La miniaturiz­zazione proseguirà ancora, ma non per sempre, perché l'uomo non può maneggiare oggetti di dimensioni microscopiche. Con le fibre ottiche - "microlasers" innestati nei processori - uti­lizzeremo segnali veloci come la luce, ma oltre non potremo an­dare perché le leggi della natura ce lo proibiscono.
«Le previsioni sono ri­schiose, ma teniamo presente che la miniaturizzazione è una conquista recente, degli ultimi cinque anni. In un tempo così breve i calcolatori hanno invaso le case, gli ospedali, le scuole, gli uffici, le fabbriche, i centri studi, i ministeri. Sono sulla scrivania, in tasca, in cucina, in auto. Pilo­tano i satelliti, gli aerei, i treni e comandano squadre di robots». 
Gli fa eco Lawry Man: «In­somma l'hardware, la macchina, l'apparato, è oggi uno strumento potentissimo. Tuttavia è pur sempre solo "un cretino che la­vora come un pazzo" ed è lì che aspetta i nostri ordini. Il pro­blema è che non abbiamo ancora imparato a darglieli in modo efficiente; la programmazione (il cosiddetto software) è molto ar­retrato. Anni ed anni di ricerca saranno ancora necessari per svilupparlo. 
«Progrediranno invece molto in fretta le comunicazioni: il computer è un masticatore di numeri, ma anche di dati che traduce nel segnale binario; per­tanto non va visto come un'en­tità a sé stante, ma come una centrale per elaborare, smistare e comunicare dati ed informa­zioni. Per farlo si servirà dei sa­telliti».

Come organizzare, chiarire, mettere ordine in questa mole di dati che invaderà la terra? Ray Ellis è fra gli autori di un interes­sante tentativo. «Il computer adora i nu­meri», egli dice, «e li digerisce senza problemi. Invece il cer­vello umano, davanti a lunghe sfilze numeriche s'impigrisce, s'annoia perché è abituato ad immagini sintetiche, che afferra e comprende ancora meglio se sono esteticamente belle, ma-gari divertenti. Il nostro compu­ter ha imparato a visualizzare astruse equazioni in film ani­mati, ottenuti con tante se­quenze di grafici colorati. Lo fa con gusto ed arte, tanto che, qualcuno di noi ha davvero di­pinto opere d'arte usando il computer come uno speciale pennello. Il computer è diven­tato un mirino che cattura l'im­magine che solo la mente umana può vedere. Un esempio? Chi ha mai visto il "Big-Bang", il botto con cui cominciò l'universo? Esso è stato sempre e solo rappresentato da complicate equa­zioni. Il nostro computer le sta traducendo in immagini colo­rate: fra breve avremo il film e vedremo il ''Big-Bang"».

E' un tentativo per rendere ac­cessibile a tutti la cultura mate­matica del computer; tuttavia il suo modo di "ragionare" resta sempre molto lontano da quello del cervello umano. Ben lo sanno al Mit dove, al "Centro per l'intelligenza artificiale", ne abbiamo parlato con due sposi, matematici e pisani: si chia­mano Giuseppe e Maria, di co­gnome Attardi.

Potrebbe usarlo anche un analfabeta

In questo Centro noi non progettiamo computer per la scienza: essi sono relativamente semplici e già molto sviluppati. Noi vogliamo computers che so­stituiscano l'uomo in certe fun­zioni; che vedano, sentano e muovano le braccia per lavo­rare. E siano così facili da usare da essere accessibili anche all'analfabeta, nel Terzo Mondo ad esempio. Per riuscirci biso­gnerà rendere il computer un po' più simile al cervello umano, che è terribilmente complesso. Esso può chiamare in causa simulta­neamente decine di migliaia di catene nervose, mentre il calco­latore usa i suoi circuiti ad uno ad uno. Anche il cervello verosimilmente funziona sul sistema binario, tuttavia la sua memoria è grande un milione di volte quella di questo elaboratore già molto avanzato, che abbiamo davanti. Contiene fino a un mi­lione di miliardi di unità d'in­formazioni, non solo, ma sa or­ganizzarle infinitamente meglio, accedervi istantaneamente al momento giusto. Se invece chiediamo un'informazione ad un computer, lui, per sapere se la conosce, deve passare in ras­segna tutto quanto contiene in memoria. Ce la fa perché è tanto veloce, ma se la nostra informa­zione è un briciolo distorta egli non la riconosce più.

Ma cosa vuol dire tentare di avvicinare intelligenza artificiale al cervello umano? 
«Noi puntiamo ad insegnare al computer a fare relazioni, ad autocorreggersi, ad adattarsi all'ambiente ad imparare dall'esperienza, quindi a generalizzare. Ci vorranno computers allacciati che lavorino simultaneamente, con memorie giganti e una programmazione sofisticata al punto che potremo farla solo se ci aiuterà il computer stesso. È una sfida affascinante in cui, solo qui, sono coinvolte centinaia di persone, ma, se sapremo raccoglierla, il volto del mondo verrà cambiato». 
Più esplosivo della bomba atomica, aveva detto Von Neumann. Spariranno le poste, i telefoni, le macchine per scrivere, le catene di montaggio e molti posti di lavoro. Ne nasceranno o rinasceranno altri, quelli arti­gianali, ad esempio. La televi­sione avrà un'unica rete mon­diale e le trasmissioni saranno ''impacchettate" nella memoria dei computers: richiameremo sul video del calcolatore di casa il film della sera prima o il tele­giornale di New York trasmesso la mattina su un altro fuso ora­rio. Con lo stesso computer faremo le operazioni di banca, prenoteremo il treno, faremo la spesa parlando col terminale del supermercato. Sulla stampante riceveremo il giornale, la posta e magari svolgeremo il nostro la­voro e parteciperemo a telecon­ferenze senza uscire di casa. A scuola i nostri figli seguiranno corsi di Harvard o della Sor­bona, perché sul tetto della scuola avranno installato un piccolo piatto, che costerà quat­tro soldi, un'antenna per satelliti che li metterà "in diretta" coll'intero pianeta. Forse.

Forse tutto questo darà possi­bilità di liberazione al Terzo Mondo. Se è vero che il suo dramma sono l'ignoranza e l'isolamento, quando anche gli sperduti villaggi in Africa e in Asia potranno collegarsi a buon mercato con la rete d'informazione che avvolgerà la Terra, nodi antichi avranno una rispo­sta. Come avere un numero suf­ficiente di tecnici, insegnanti e "medici scalzi" che vadano dappertutto a spiegare i pericoli dell'acqua sporca, insegnino a leggere e scrivere e ad usare tec­niche di agraria elementare? Ci penseranno satelliti e compu­ters. Intanto, forse, in Occidente noi condurremo una vita alluci­nante, incollati al piccolo schermo. Oppure andrà tutto diversamente?

LA MACCHINA CHE AMMINISTRA "FAMIGLIA CRISTIANA"

  

Nella foto qui sopra: il direttore generale Marketing Italia della Honeywell, ing. Michele Cimino, insieme con il direttore del Gruppo Periodici, don Leonardo Zega (1928-2010), mentre osservano le apparecchiature ad Alba nel 1981 (foto Epipress).

Ecco come venne riportata la notizia sul numero 45 di Famiglia Cristiana del 15 novembre 1981:

Il primo esemplare di una nuova serie di calcolatori elettronici di potenza medio/grande a essere consegnato in Italia (la serie Dps 7 della Honeywell) è stato installa­to a Milano presso il Gruppo Periodici della Società San Paolo. Il calcolatore, con le sue apparecchiature da fantascienza (unità a nastri e dischi magnetici, console con videoterminale, pannelli con luci che si accendono e si spengono), servirà a risolvere i problemi amministrativi di un complesso editoriale che ogni settimana stampa e distribuisce milioni di copie di Famiglia Cristiana e delle altre riviste del Gruppo. L'annuncio della nuova serie di calcolatori (si tratta di macchine che, anche in un campo già di per sé avanzato come quello dei calcolatori, rappresentano un ulteriore progresso, grazie a una tecnologia nuovissima, che permette ai circuiti di operare in tempi dell'ordine dei nanosecondi, vale a dire dei miliardesimi di secondo) è stato dato dalla Honeywell per l'Italia nell'"Auditorium" della Società San Paolo in contemporanea con le altre sedi del Gruppo Honeywell (New York, Londra, Parigi).

 

Multimedia
Il primo personal computer, quarant'anni fa. Il ricordo di Rai Storia
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