Palmira (foto di R. Didiodato).
Palmira, uno dei siti archeologici più spettacolari della Siria e tra i più importanti di tutto il Medio Oriente, deve il suo nome alla grande oasi di palme, nelle cui vicinanze l’antica città fu costruita. Un lago verde tra le sabbie ardenti del deserto. Le sue ricche sorgenti di acque favorirono un primo insediamento già nel II millennio. Il suo nome è citato nei testi cuneiformi di Mari (XVIII sec. a.C.) e nei documenti dell’impero assiro come centro commerciale e carovaniero.
Tra il III e il II secolo a. C. divenne una città ellenistica, la cui importanza cresceva con l’intensificarsi delle scambi commerciali e con l‘espandersi dei mercati in quell’area “globalizzata” dalla conquista di Alessandro Magno. Posta a metà strada tra il Mediterraneo e l’Eufrate, Palmira consentiva la traversata del deserto sulla linea più diretta che collegava la Mesopotamia ai grandi centri urbani della Siria e della Palestina, che potevano essere raggiunti dalle carovane in tempi più brevi.
La città conservò a lungo la propria indipendenza, finché, durante i primi anni dell’impero, divenne vassalla di Roma. La città del deserto toccò l’apogeo di ricchezza e potenza agli inizi del III secolo. Settimio Severo (o forse Caracalla) riconobbe a Palmira lo stato di città libera. Il re Odenato, che combatté vittoriosamente contro il re parto Sapore a favore di Roma, ottenne l’indipendenza del proprio regno. La città cominciò a estendere la sua influenza sulle regioni circostanti e a sviluppare una politica di espansione e annessione di territori sempre più estesi, tanto da costituire un regno a sé all’interno dei confini dell’impero romano.
Palmira, considerata una specie un cuscinetto di sicurezza tra Roma e l’impero dei Parti, godette perciò per diverso tempo di una vasta autonomia. Roma sembrava non prestare troppa attenzione a quanto stava accadendo ai suoi confini orientali. Ma Zenobia, divenuta regina attorno all’anno 268 succedendo nel regno al marito Odenato, sviluppò una politica aggressiva e anti-romana, tale da destare serie preoccupazioni nelle stanze del potere romano. Nel 272 l’imperatore Aureliano mise fine per sempre alla “primavera” di Palmira, che in gran parte andò distrutta. Zenobia, catturata mentre tentava di rifugiarsi presso i Parti, fu esibita come preda pregiata nel trionfo tributato all’imperatore.
Palmira è stata sempre identificata con Zenobia, la spregiudicata regina che sfidò la potenza delle legioni con l’ambizione di creare un impero d’Oriente in concorrenza con quello di Roma. Si autoproclamò Augusta, come risulta da monete coniate nella città, che la rappresentano ornata di diadema, con la scettro nella mano sinistra e con il pavone ai suoi piedi. Si diede il titolo onorifico di Discendente di Cleopatra. Ma dell’affascinante regina d’Egitto non seguì il tragico esempio. Pare sia morta di morte naturale, relegata in una cittadina dei dintorni di Roma: Tivoli, luogo di villeggiatura estiva dei ricchi e annoiati patrizi romani.
Palmira è una Venezia del deserto. I suoi colonnati sono infilati dentro un mare di sabbia. La preziosità della sua architettura la fa somigliare alla città lagunare. Anche lei “serenissima” nei suoi silenzi. Adagiata come una matrona in ascolto del deserto. Nascosta a occhi indiscreti dalla grande collina su cui sorge la fortezza araba di Qalaat Fakhr ad-Din al-Maani. Gli antichi l’avevano chiamata “la sposa del deserto” per la sua grande bellezza e per la freschezza accogliente delle sue oasi.
La Via Colonnata, il monumento diventato simbolo di Palmira, sembra un tracciato cerimoniale riservato a processioni di dèi e di eroi. La sua nitidezza e la sua armonia sono sovrumane. La strada, larga 11 metri e lunga 1.100, inizia attualmente con il superbo arco di Settimio Severo. Mani di pazienti cesellatori hanno trasformato la pietra dell’arco in un raffinatissimo ricamo.
Il tempio di Bel era il cuore religioso di Palmira, dove si venerava la triade celeste: Bel, Yarhibol e Aglibol. Il Cielo, il Sole e la Luna. Il santuario, ancora ben conservato, aveva un ingresso monumentale e l’ampio cortile interno completamente lastricato. Due grandi nicchie rialzate, una sulla parete nord e una a sud, custodivano i simulacri delle divinità palmirene. All’entrata del tempio ci sono alcuni blocchi di pietra decorati. Su uno di essi è stato scolpito un bassorilievo che raffigura una processione: un dromedario porta un tabernacolo mentre delle figure femminili procedono velate. In epoca araba l’edificio sacro a Bel subì diverse trasformazioni.
Un piccolo museo raccoglie e custodisce opere recuperate dagli scavi archeologici. Testimonianze particolarmente suggestive e preziose dell’arte, della cultura e della vita quotidiana della metropoli siriana.
Come tutte le città importanti dell’impero romano, anche Palmira aveva uno stupendo teatro, a misura della sua popolazione e del suo splendore. L’intero monumento è ben conservato. Al tramonto del sole le pietre della scena, sebbene levigate dal tempo, diventano vive. Da un momento all’altro i fantasmi degli antichi attori, pronti per la recita, sembrano apparire sulla scena.
Tutta Palmira è un miraggio. Una serenità innaturale ammanta templi e rovine, piazze e terme. Il vento caldo del deserto continua a scivolare tra colonna e colonna.