Edgar Arias Tamayo, giustiziato in violazione alla Convenzione di Vienna. Nella foto di copertina: esecuzioni in Iran.
L’esecuzione del 22 gennaio scorso del messicano Edgar Arias Tamayo, 46 anni, nel braccio della morte di Huntsivlle, ha causato uno scontro diplomatico tra Stati Uniti e Messico. «Una vergognosa violazione del diritto internazionale», secondo Amnesty International e altre Ong.
Nel 2004, infatti, la Corte di giustizia internazionale aveva ordinato al Texas di non procedere all’esecuzione in quanto Tamayo, condannato per l’omicidio di un poliziotto dieci anni prima, non era stato informato, al momento dell’arresto, che aveva diritto a chiedere l’assistenza consolare, violando quindi la Convenzione di Vienna del 1963 (ratificata da 175 Paesi tra cui gli Stati Uniti), secondo la quale ogni cittadino straniero deve informare e avere assistenza dai rappresentanti del proprio consolato, e dev’essere precedentemente avvisato chiaramente di questi diritti.
Nel suo caso, questa assistenza avrebbe potuto contribuire a fornire prove rilevanti per salvare la vita. Senza praticamente parlare inglese, Tamayo venne invece difeso da un avvocato che non informò la giuria degli abusi subiti dal suo cliente durante l’adolescenza, compresa una grave lesione al cranio all’età di 17 anni.
Nel 2008, uno psichiatra gli diagnosticò un “ritardo mentale”, che avrebbe comunque impedito, in quanto incostituzionale, l’emissione della condanna a morte. Fino all’ultimo, il Governo federale statunitense aveva fatto pressione sul Texas per evitare l’esecuzione e il Segretario di Stato Kerry aveva richiamato «l’obbligo degli Stati membri a rispettare le norme del diritto internazionale». Nulla da fare, alla fine nelle vene di Tamayo è stato iniettato il cocktail mortale di farmaci.
Dennis McGuire. Per la sua esecuzione è stato sperimentato un nuovo cocktail di farmaci letali. Con esiti terrificanti.
Una lunga tremenda agonia
Sempre negli Stati Uniti, in Ohio, un’altra esecuzione è stata al centro del dibattito in questi giorni. Per uccidere Dennis McGuire, 53 anni, è stata utilizzata una nuova combinazione tra un sedativo e una morfina molto concentrata. Si trattava di una sperimentazione per sostituire il vecchio cocktail, sospeso per la decisione delle case farmaceutiche europee di non rifornire più l’America con barbiturici usati per gli omicidi di Stato.
Ma Dennis entrerà nella storia delle esecuzioni degli Stati Uniti: la sua agonia, tra spasimi e convulsioni, è durata ben 26 minuti, nonostante il diritto costituzionale preveda una morte rapida e indolore.
Così ha raccontato il sacerdote cattolico Lawrence Hummer, che gli è stato accanto durante gli ultimi minuti: «Ho visto molta altra gente morire: negli ospedali, in famiglia, mia madre. Quello che ho visto in questo caso è molto diverso. Aveva le braccia legate di lato. Il suo stomaco si è gonfiato, come se avesse avuto un’ernia. Poi ha iniziato ad avere convulsioni, lottava per avere aria. Ho visto i suoi pugni serrati mentre continuava a rantolare, lo sentivamo rantolare attraverso i vetri che separano la stanza dell’esecuzione da quella dei testimoni. Poi, quei rantoli si sono trasformati in un affannata lunga sequenza di sbuffi».
Le sue ultime parole sono state una richiesta di perdono, un «vi amo» rivolto ai figli e un ringraziamento per la lettera di conforto che gli hanno mandato i familiari della donna che aveva ucciso 25 anni prima.
In Iran si uccidono anche minorenni e oppositori politici
Negli Stati Uniti, almeno, c’è trasparenza su queste morti, mentre in altri Paesi le notizie sono spesso più occultate. In Iran, ad esempio, nelle prime due settimane del 2014, ci sono state 40 impiccagioni, «un picco allarmante» rispetto lo scorso anno per Amnesty International.
Qui, le esecuzioni pubbliche, come quella del 13 gennaio a Sirjan, di solito avvengono utilizzando una gru che solleva la persona condannata tramite un cappio intorno al collo, davanti a una folla di spettatori. Molti sono uccisi dopo processi legati al commercio di droga che avvengono in tribunali rivoluzionari, spesso a porte chiuse e con giudici che hanno il potere di limitare gli incontri degli avvocati con gli imputati durante la fase pre-processuale.
Si uccidono anche minorenni, come Hamid Tabkhi, giustiziato nella prigione di Adel-Abad a Shiraz il 4 gennaio, e oppositori politici, come Saman Nassim, condannato a morte per aver militato, all’età di 17 anni, nel Pjak.
Ravinda Krishna Pillai, giustiziato il 21 gennaio scorso.
In Iraq 37 esecuzioni in meno di una settimana
La situazione non va meglio nel vicino Iraq, «un nastro trasportatore di esecuzioni», secondo l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti umani Navy Pillay: il 23 gennaio, sono stati impiccati 11 condannati “per terrorismo”, facendo salire a 37 le persone giustiziate in meno di una settimana.
Sempre nel primo mese del 2014, ci sono stati altri omicidi di Stato in Cina, Arabia Saudita, Somalia ed Emirati Arabi Uniti.
Qui, nell’emirato di Sharjah, è stato fucilato il 21 gennaio Ravindra Krishna Pillai, un domestico dello Sri Lanka di 26 anni, condannato per aver deliberatamente investito un uomo. Amnesty ha invece definito l’investimento «accidentale», avvenuto mentre il giovane cingalese tentava di fuggire dall’uomo, un amico del suo datore di lavoro, che avrebbe cercato di aggredirlo sessualmente.