Contribuisci a mantenere questo sito gratuito

Riusciamo a fornire informazione gratuita grazie alla pubblicità erogata dai nostri partner.
Accettando i consensi richiesti permetti ad i nostri partner di creare un'esperienza personalizzata ed offrirti un miglior servizio.
Avrai comunque la possibilità di revocare il consenso in qualunque momento.

Selezionando 'Accetta tutto', vedrai più spesso annunci su argomenti che ti interessano.
Selezionando 'Accetta solo cookie necessari', vedrai annunci generici non necessariamente attinenti ai tuoi interessi.

logo san paolo
lunedì 24 marzo 2025
 
la strage di casteldaccia
 

«Serve una Procura nazionale per la sicurezza sul lavoro. Tutele e regole sono considerate solo un costo»

07/05/2024  Il presidente nazionale delle ACLI Emiliano Manfredonia: «Il primo problema è l'impunità e il sovraccarico della giustizia che non permette un’azione più forte e coordinata. Occorre una strategia che valorizzi il ruolo degli investimenti nella sicurezza anche nell’assegnazione degli appalti»

Il presidente nazionale delle ACLI, Emiliano Manfredonia
Il presidente nazionale delle ACLI, Emiliano Manfredonia

Più investimenti in formazione e sicurezza, stop alla catena di appalti e subappalti e una Procura nazionale per la sicurezza sul lavoro. Sono alcune misure chieste dal presidente nazionale delle ACLI, Emiliano Manfredonia, dopo la strage di Casteldaccia (Palermo) in cui hanno perso la vita cinque persone: Epifanio Alsazia, 71 anni, originario di Partinico contitolare della ditta Quadrifoglio Srl, che lavorava su mandato della municipalizzata palermitana Amap che si occupa della gestione idrica in città e in alcuni comuni della provincia. Giuseppe Miraglia, 47 anni di San Cipirello (Palermo); Roberto Raneri, 51 anni di Alcamo (Trapani); Ignazio Giordano, di 59 anni di Partinico; e Giuseppe La Barbera, il lavoratore interinale dell'Amap. Le vittime sono morte in un ambiente saturo di gas, prodotto di fermentazione dei liquami la cui presenza era prevedibile e non hanno avuto scampo, tentando di salvarsi l'uno con l'altro nella vasca dell'impianto di sollevamento di acqua reflue di via Nazionale dell'Amap. Ma uno dopo l'altro hanno perso la vita a causa dell'idrogeno solforato, e dall'assenza di protezioni e mascherine, come sarebbe stato accertato. Un’inchiesta, coordinata dalla procura di Termini Imerese, ha disposto il sequestro dell’impianto. Il fascicolo, ancora a carico di ignoti, è stato aperto con l'ipotesi di omicidio colposo plurimo. Intanto emerge che gli operai non sarebbero dovuti scendere all'interno della stazione di sollevamento. Il contratto di appalto prevedeva che l'aspirazione dei liquami avvenisse dalla superficie.

Manfredonia, perché, nonostante le dichiarazioni e le numerose campagne di sensibilizzazione, non si riesce a diminuire il numero dei morti sul lavoro?

«Perché il lavoro è diventata una merce e tutto deve essere veloce, tutto deve rendere di più. La rendita è diventata più importante della vita umana e la conseguenza è che non si investe in dispositivi e formazione di sicurezza. Il lavoro è spesso a tempo per cui non si procede con la dovuta istruzione e poi c’è anche in molti casi il fenomeno del lavoro irregolare ha un forte consenso sociale in molti contesti».

Il comandante provinciale dei Vigili del fuoco di Palermo ha parlato di "scarse precauzioni". C'è stata negligenza in questa strage?

«Su quello che è accaduto diranno le autorità competenti che stanno indagando. Purtroppo le scarse precauzioni sono ricorrenti. Prevale e fa proseliti l'idea che conti solo avere un lavoro e che il resto di regole, prevenzione e tutele sia solo un costo. Un costo che spesso si paga con incidenti e vittime».

Il M5S ha proposto l'istituzione del reato di omicidio sul lavoro. Pensa che possa risolvere qualcosa?

«Meglio una Procura nazionale della sicurezza sul lavoro perché qui il primo problema è l'impunità e il sovraccarico della giustizia che non permette un'azione più forte e coordinata. La scorsa estate il Parlamento ha adottato le norme europee sul Whistleblowing, che vincolano le aziende a predisporre un sistema di raccolta delle segnalazioni di illeciti che garantisca la privacy del dipendente o collaboratore segnalante. Peccato però che non si tenga conto della realtà italiana fatta di tantissime piccole o micro imprese, che ne sono escluse. Oltre a potenziare il sistema di controlli, gravemente carente, occorre che questa possibilità di segnalazione che tutela la privacy del segnalante, sia diffusa in modo agevole a tutti i contesti, senza burocrazia, coinvolgendo oltre a sindacati e organizzazioni datoriali, comuni, Terzo settore, scuole, parrocchie. Occorre una strategia che valorizzi il ruolo degli investimenti, sia quelli diretti in sicurezza, sia quelli che possono essere “condizionati” agli stessi obiettivi; come, per esempio, i sistemi di premialità nell’ambito dell’aggiudicazione degli appalti pubblici. Una prospettiva nuova per la sicurezza sul lavoro deve farsi carico anche di un ripensamento della formazione, magari immaginando degli incentivi e degli sgravi per le imprese che la promuovono per i propri dipendenti, ma anche di un impegno a eliminare gli appalti e i subappalti a catena, dove massimo ribasso coincide con massimo rischio: si stima che nel settore dell’edilizia, il 70% degli infortuni nei cantieri avviene in regime di subappalto. Allo stesso tempo, occorre valorizzare il ruolo dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza, una figura che purtroppo, talvolta, viene proprio a mancare nelle aziende, ma anche potenziare il sistema dei controlli portato avanti dall’Asl e dall’Ispettorato del lavoro, dotandolo di un organico in grado di svolgere il proprio compito, vista la carenza denunciata di oltre 2.600 profili».

Segui il Giubileo 2025 con Famiglia Cristiana
 
 
Pubblicità
Edicola San Paolo