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giovedì 22 maggio 2025
 
 

Quei bambini sempre in prima linea

09/09/2012  Dall'Afghanistan alla Siria, migliaia di bambini cadono sotto le bombe. Una tragedia cui non si riesce a porre rimedio e che spesso ci lascia indifferenti.

Non è detto che il ragazzo di 14 anni che a Kabul, nei pressi del quartiere generale della forza internazionale Isaf, ha fatto strage di ambulanti giovani come lui o quasi, si sia fatto esplodere. Potrebbero anche averlo fatto esplodere i suoi mandanti, con un congegno a distanza, per scegliere il luogo più adatto, mentre lui pedalava ignaro sulla bicicletta imbottita d’esplosivo.


Nel primo caso, il piccolo kamikaze sarebbe la vittima di un indottrinamento spietato e assassino. Nel secondo, sarebbe il primo dei caduti nella strage organizzata dal gruppo Haqqani della galassia talibana, che sta colpendo per rimarcare, a suo modo, l’anniversario dell’uccisione di Ahmad Shah Massud, il capo della guerriglia contro i sovietici e poi contro i talebani, morto in un attentato il 9 settembre 2001, pochi giorni prima dell’invasione internazionale dell’Afghanistan.

Comunque sia andata a Kabul, quei morti sono gli ultimi caduti della grande strage dei ragazzi a cui stiamo assistendo impotenti. Secondo dati non verificabili ma credibili, diffusi dalla tv satellitare Al Arabiya, sono ormai più di 1.300 i minori uccisi nella guerra civile in Siria e le organizzazioni umanitarie non hanno più remore nel  parlare di “eccidio”. Dall’Afghanistan le truppe straniere, il vero collante del Paese nell’ultimo decennio, si stanno velocemente ritirando: 70 mila soldati americani e 40 mila soldati di altri Paesi in meno rispetto ai livelli massimi d’impegno militare. In Siria non sono mai arrivate e chissà se mai ci arriveranno.

Il tasso di natalità dei Paesi del Medio Oriente è in media inferiore solo a quello dei Paesi dell’Africa: 33 nati ogni 1.000 persone nello Yemen, 29 in Iraq, 27 in Giordania, 25 in Egitto, 24 in Oman, Libia e Siria. E 38 nell’Afghanistan dei bambini kamikaze. Le famiglie, quindi, sono numerose e, in più, tendono a rimanere compatte. Se una bomba cade su una casa, come ad Aleppo oppure a Homs, è probabile che i primi a morire siano i bambini. Se una mitragliatrice spazza una strada, sono i bambini, che in Medio Oriente spesso trovano nella strada il prolungamento della casa, i primi a essere colpiti. La stessa cosa in Afghanistan.

Ma è una tragedia a cui ci stiamo abituando con troppa facilità. Anzi. Se proviamo a chiedere alle organizzazioni umanitarie quale sia la più comune reazione alle raccolte fondi lanciate per dare una mano ai siriani e ai bambini che cadono sotto le bombe, scopriamo che il risultato spesso è indifferenza quando non vero rifiuto. Le casse per le missioni d’aiuto restano vuote o quasi. Cosa che non succede, invece, quando l’emergenza riguarda l’Africa. Come se patire la carestia in Somalia a causa degli shaabab e del loro folle islamismo fosse più drammatico, o onorevole, che morire in un bombardamento ordinato da un dittatore a fine corsa come Assad, ormai simile ai Saddam Hussein e Muammar Gheddafi di qualche tempo fa.  

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