Anversa, Belgio. Alcuni momenti dell'Incontro internazionale delle religioni per la pace (foto gentilmente concesse dalla Comunità di Sant'Egidio che ha organizzato l'evento).
Anversa, Belgio
Dalla nostra inviata speciale
Povertà, ignoranza e ideologia. Potrebbero essere queste le tre parole
chiave che sintetizzano i ricchissimi lavori della seconda giornata
dell’Incontro ecumenico per la pace organizzato ad Anversa dalla Comunità di Sant’Egidio.
Laddove ci sono sacche di povertà che condannano alla fame,
all’esclusione sociale e alle malattie, vaste fasce della popolazione è
più facile che le ideologie spingano alla violenza. Soprattutto quando
alla povertà si aggiunge l’ignoranza della popolazione. Va fatto un
lavoro molto ampio che cerchi di capire da dove vengono i
fondamentalismi, chi li sostiene, chi ne trae vantaggio.
E dire
chiaramente che c’è una politica internazionale senza etica che bada
più agli interessi economici che al benessere dell’umanità. «Bisogna indagare le radici del male in ogni suo aspetto e affermare
chiaramente che la violenza non ha a che fare con la religione»,
dicono gli oltre 300 leader presenti ad Anversa. Da parte musulmana
parte l’idea di una sorta di fatwa che le tre religioni del libro
dovrebbero lanciare contro l’uso della violenza. La memoria della Prima guerra mondiale dovrebbe spingere ogni nazione a interrogarsi
sulle conseguenze della guerra e ad arginare quanti hanno interesse a
fomentare le violenze. Il grand imam della moschea di Lahore, in
Pakistan, dice chiaramente che, «anche se gli estremisti citano
versetti del Corano, le violenze non hanno niente a che vedere con il
Corano». È necessario però cercare di sradicare quelle cause che
portano alla giustificazione degli estremismi.
In primis la povertà e
l’ignoranza. Ignoranza dello stesso Corano, che è spiegato da
fondamentalisti e non da veri studiasi delle scritture. Uomini e
religioni si incontrano, «perché guardarsi in faccia è sempre un passo
in avanti. Dopo però deve venire qualcosa in più. Dobbiamo imparare a
essere amici, non sono a collaborare», spiega lo studioso Bauman.