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sabato 21 giugno 2025
 
Sgambetto all'Italia
 

Strasburgo "scavalca" l'Italia: sì all'utero in affitto

28/01/2015  La Corte europea dei diritti umani condanna il nostro Paese perché "colpevole" di aver applicato la legge nazionale su un caso di maternità surrogata. Se Roma la vieta è sufficiente andare in un altro Paese e comprarsi il bebè. Lo Stato dovrà riconoscerlo

La vicenda è paradossale e si può riassumere grosso modo così: l’Italia è stata condannata dalla Corte europea per i diritti umani di Strasburgo a pagare una multa di 30mila euro per aver applicato la legge nazionale. Proprio così. 

Il caso, intricato e nel quale c’è di mezzo un bambino, ha a che fare con la maternità surrogata. Andrea (nome di fantasia) è nato il 27 febbraio 2011 in Russia con la pratica dell'utero in affitto, da una madre surrogata, la quale rilascia una dichiarazione con la quale “cede” il bambino alla coppia committente italiana.
Le autorità di Mosca procedono a iscriverlo all'anagrafe come figlio legittimo della coppia, Donatina Paradiso, 60 anni, e Giovanni Campanelli, 48, di Colletorto, paesino in provincia di Campobasso.

Il comune di Colletorto però si rifiuta di iscrivere il bambino all’anagrafe non essendoci alcuni legame biologico con i genitori. Nel frattempo, il consolato scopre come sono andate le cose e informa il tribunale dei minori di Campobasso. Scatta una denuncia per i coniugi e il bimbo viene tolto loro e messo in una casa famiglia. Dopo 16 mesi, infine, viene affidato ad un'altra coppia.

La coppia italiana ricorre alla Corte di Strasburgo denunciando la violazione dell’articolo 8 della Convenzione europea dei diritti umani (diritto al rispetto della vita privata e familiare). E la Corte con una sentenza pronunciata a maggioranza (5 giudici contro 2) dà loro ragione in maniera un po’ acrobatica.

I giudici infatti ammettono che la decisione delle autorità italiane «è avvenuta secondo la legge», notando come «la condotta dei ricorrenti è stata contraria alla legge». Però la condanna è arrivata comunque spiegando che le poche settimane passate con il piccolo sarebbero sufficienti per creare una famiglia di fatto e il bene del bambino ha comunque precedenza su tutto. «Il riferimento all’ordine pubblico», spiega la Corte, «non dà carta bianca per qualsiasi misura, lo Stato doveva tenere in considerazione gli interessi del bambino, senza considerare la relazione di parentela».

La condanna consiste nel solo pagamento alla coppia di 30 mila euro per i danni morali e per le spese processuali (i coniugi avevano chiesto un risarcimento di 100 mila euro) ma, sottolinea la Corte, «non implica un obbligo per lo Stato italiano a restituire il bambino ai ricorrenti, visto che ha sviluppato senza dubbio legami emotivi con la famiglia di affido».

È vero che il bene del bambino ha la priorità assoluta ma la sentenza, messa giù così, lascia perplessi per un motivo giuridico molto semplice espresso dai due dei sette giudici che si sono espressi in maniera contraria: l’italiano Guido Raimondi e l’islandese Robert Spano. «Se è sufficiente», scrivono, «creare all'estero un legame illegale con un neonato per obbligare le autorità del proprio Stato a riconoscere l'esistenza di una vita familiare, è evidente che la libertà dei Paesi di non riconoscere gli effetti giuridici del ricorso alle madri surrogate - libertà che tuttavia la giurisprudenza della Corte riconosce - è ridotta a nulla».
Nell'opinione i due giudici affermano inoltre che «non possono accettare» la conclusione di una violazione del diritto alla vita familiare e privata della coppia e che il ragionamento seguito dalla maggioranza «non è convincente». Sulla base di queste argomentazioni giuridiche l’Italia farà sicuramente ricorso.

Il principio del maggiore interesse del minore, evidenziato dalla Corte, è giusto ma l’applicazione proposta da questa sentenza è pericolosa. Come ha evidenziato anche Eugenia Roccella (Area Popolare), vicepresidente della Commissione Affari sociali della Camera secondo la quale «si configura, così una sorta di diritto all'usucapione nei confronti del minore: basta che qualcuno riesca a tenere con sé un bambino per il tempo sufficiente a stabilire una relazione, e potrà tenerlo per sempre». Roccella ha anche chiesto un intervento urgente del Garante dell'infanzia perché «i bambini non siano trattati come oggetti a disposizione di chi se li prende».  

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