Edoardo Nesi ha dunque vinto lo Strega, uno dei maggiori premi
letterari italiani, con Storia della mia gente, edito da
Bompiani. «Questo premio non va a me, ma a tutti quelli di cui parlo nel
mio libro e alla mia città, Prato»: questa la dedica dello scrittore,
subito dopo la proclamazione. Una bella dedica, perché si radica nei
contenuti del suo libro, una vicenda, in parte autobiografica, in cui dà
voce alla perdita del benessere e delle certezze in Italia in seguito
all'avvento della globalizzazione. Prato, la città di Nesi, è in
questo senso emblematica: la fiorente industria tessile è stata
messa in ginocchio dall'"invasione" dei cinesi e, più in generale, dalla
concorrenza spietata di un mercato senza più barriere. Muovendosi
fra saggio e romanzo, lo scrittore, già in finale allo Strega con L'età
dell'oro, esprime un grido di rabbia per come è stata
annientata la vitalità dei nostri piccoli imprenditori, nerbo
dell'economia italiana.
Questa edizione dello Strega merita alcune riflessioni. «È
compito della letteratura», ha d etto il vincitore, «cercare
di interpretare il reale». Questa attitudine, in atto da tempo, nel
quale qualcuno ha ravvisato una sorta di neorealismo della narrativa
italiana, attraversa praticamente tutti e cinque i romanzi della finale.
In La vita accanto di Mariapia Veladiano (Einaudi), uno
degli esordi più interessanti dell'anno, è il tema della marginalità,
dell'esclusione a essere indagato. In Ternitti di Mario
Desiati (Mondadori) si rievoca il dramma degli emigrati italiani in
Svizzera che lavorarono in una fabbrica di amianto. L'energia del
vuoto di Bruno Arpaia (Guanda) sposa felicemente narrazione e
divulgazione scientifica, ambientando il romanzo al Cern di Ginevra. La
scoperta del mondo di Luciana Castellina (Nottetempo)
descrive l'iniziazione politica, e non solo, di una ragazza dei Parioli
dal '43 al '47. La drammaticità, la confusione, il degrado dei tempi che
viviamo inducono forse gli scrittori ad affrontare di petto la realtà, a
misurarsi con i problemi concreti, ora in chiave economica, ora
esistenziale, ora politica, ora sociale. Balza all'occhio, inoltre, come
in quasi tutti i romanzi finalisti prendano vita grandi personaggi
femminili: anche questo un segno dei tempi?
Un'ultima nota: due dei libri finalisti dello Strega diventeranno
film. La Veladiano ha già affidato le donne del suo romanzo
ambientato a Vicenza a Marco Bellocchio; i diritti
cinematografici di Ternitti di Desiati sono invece stati
acquisiti dalla Fandango: ancora non si sa chi sarà il regista e
chi interpreterà il ruolo di Mimì Orlando, la donna che con la sua
tenacia e grazia riscatterà un popolo e
una terra segnata dall’emigrazione e le malattie dal lavoro.
«Cinesi tutti appesi», si legge sui muridi Prato, dove la crisi del tessile ha messoin ginocchio tanti imprenditori. Si trova anche questo nel romanzo vincitore dello Strega, Storia della mia gente (Bompiani) di Edoardo Nesi, lo scrittore chesi è fatto conoscere con L’età dell’oro e lepagine intime di Per sempre. E ci sono le sue tante letture, l’avventura imprenditoriale, la vendita dell’azienda di famiglia...
– Nesi, come mai un titolo al plurale per la tua autobiografia?
«Ho cercato di uscire dalla maledizione dello scrittore che parla solo di sé stesso. Ho provato a raccontare una storia condivisa. Ma “la mia gente” non sono solo i pratesi o gli imprenditori della piccola industria. Sono tutti gli italiani e i non italiani che vengono nel nostro Paese per lavorare».
– Il tuo romanzo L’età dell’oro, ambientato nel 2010, descriveva alcune situazioni estreme. Oggi le vedi verificate?
«Pensare che con quanto ho scritto nel 2004 ci ho indovinato, mi fa stare male. Tutto speravo, ma nondi scrivere un libro che raccontasse la verità. Oggi ci stiamo avvicinando a quegli scenari per colpa di un’idea che si è diffusa come un’erbaccia: il liberismo più sfrenato».
– Meglio essere scrittore o imprenditore?
«Dispiace dirlo, ma oggi è meglio essere scrittore. Viviamo in un mondo nel quale conquiste come la legislazione sul lavoro vengono messe a rischio e svendute per niente o poco più».
Rebecca nasce brutta, così brutta che «sono
un’offesa alla specie e soprattutto al mio
genere». La madre «si è messa a lutto
quando sono nata», il padre si nasconde; altri,
guardandola con gli occhi del cuore, scoprono
la sua bellezza e il suo talento. È la storia che
racconta, con scrittura raffinata, Mariapia
Veladiano in La vita accanto (Einaudi).
– Come nasce l’idea di un romanzo
che indaga il tema della bruttezza?
«Ha funzionato qualcosa di sotterraneo, che
mi ha fatto intercettare, attraverso la mia
vita di scuola, il sentimento di inadeguatezza
di tante ragazze. Un’inadeguatezza legata
non per forza all’aspetto esteriore, ma al
sentirsi esclusi. La bruttezza rappresenta
in senso ampio il non sentirsi accettati:
quella fisica è solo la chiave letteraria
della vicenda, perché, fra tutte le esclusioni,
è quella che conta di meno, dato che non
inficia l’intelligenza o la capacità di amare».
– Sono le persone attorno a Rebecca
a farla sentire brutta ed emarginata...
«Non esiste l’assolutamente brutto, noi ci
specchiamo negli altri. Nel romanzo c’è un
mondo di adulti – a partire dai genitori –
che è incapace
di apprezzare
il valore della vita».
– Figure che
“vedono dentro”,
per fortuna,
non mancano...
«L’amica Lucilla,
che non è schiava
degli schemi
e dell’ipocrisia
dell’ambiente,
o la maestra, che
svolge quel lavoro di
integrazione che
spetta alla scuola».
È una storia di migrazione il romanzo Ternitti (Mondadori) con cui Mario Desiati ha partecipato allo Strega. Il punto di vista
è quello di Mimì: adolescente
negli anni ’70, vive nella propria famiglia
la tragedia del “ternitti”, l’eternit.
– Da dove ha tratto ispirazione?
«Conosco bene il territorio del Capo
di Leuca e mi colpiva la presenza di molti
ragazzi della mia età orfani, perché avevano
perso il padre per asbestosi, ma anche
per altre malattie contratte quando erano
emigrati. Si dice sempre che emigrare
ammala di nostalgia, ma qui ci si ammalava
per davvero. Poi ho raccolto un po’ di storie
attraverso le carte di un processo, mi hanno
aiutato due avvocati e una chimica.
Da queste storie emergevano l’amore
e la devozione dei parenti, soprattutto delle
donne. E, tra tutte, di Mimì, coraggiosa
e moderna. Una vera donna italiana, il lato
migliore di questo Paese».
– Il suo libro affronta il tema
dell’emigrazione. Che cosa pensa di
quanto è accaduto a Lampedusa?
«Rispondo da scrittore: in maniera un po’
provocatoria potrei dire che la soluzione
migliore sarebbe dare Lampedusa a qualche
Stato europeo più moderno e organizzato
del nostro».