Cecilia ha 12 anni, capelli
neri e occhi scuri. Carattere
deciso, ama la musica rap,
la neve e gli hamburger.
Seduta a terra sull’erba, nel
cortile della scuola Rinnovata
Pizzigoni di Milano,
rivolge gli occhi all’asinello
che le sta di fronte, e fa una smorfia:
«Non le piace spazzolarlo, ci abbiamo
provato in cinque anni di scuola elementare,
ma non c’è stato verso».
Giulia Scolari, 30 anni di esperienza
in cattedra, è stata la sua maestra. Ad
affiancarla, un’educatrice e un’insegnante
di sostegno. «La bravura è
lasciata alla buona volontà, come in
tutte le cose. Occorre soltanto avere
voglia di imparare», ci dice, rispondendo
così al nostro sguardo di lode
nei confronti suoi e dei colleghi dopo
aver visto le foto su un iPad: Cecilia in
gita a scuola natura, intenta a pigiare
l’uva con i piedi, a impastare la pizza,
a far scivolare un ferro da stiro su una
maglietta ben tesa, a nuotare dentro la
piscina dell’istituto.
La Rinnovata Pizzigoni è una
scuola di metodo, è immersa in uno
spazio naturale che comprende piante
e animali, insegna i contenuti partendo
dall’osservazione. Qui Cecilia
ha trovato il suo ambiente e i suoi
compagni e qui torna sempre volentieri
anche oggi che frequenta ormai
la prima media.
«Giulia non l’ha mai trattata come
se fosse diversa e questo era fondamentale.
Non sempre ciò accade, siamo
stati molto fortunati», ci spiega
mamma Sharon. Un dottorato in Storia
dell’arte e una passione per la ricerca
che ha applicato a tutto campo: «Cecilia
non ha una diagnosi, la sua
malattia non è genetica. Una parte
del cervello non si è formata e dopo la
nascita è arrivata anche un’emorragia
cerebrale: le hanno dato cinque giorni
di vita e prognosi vegetale, hanno diagnosticato
anche cecità e sordità, e che
non avrebbe mai camminato».
Oggi vede, sente e cammina. «Abbiamo
trascorso il suo primo anno di
vita in vari ospedali italiani. Nel frattempo
avevo assunto uno studente di
neurochirurgia per fare ricerca su di
lei e anch’io mi sono messa a studiarla.
Poi l’abbiamo portata a Los Angeles,
io sono americana, è stata operata
nove volte». E la sua vita è cambiata:
«Lì sono molto attivi, hanno detto che
non doveva stare più a letto. Ha cominciato
ad andare in palestra, la seguiva
gratuitamente una terapista per
gli occhi perché non era affatto cieca,
ma doveva imparare a usarli».
E via via ha cominciato a vivere:
oggi fa surf con un’associazione di surfisti volontari, fa snowboard in montagna
con i fratelli, Ariel di 10 anni e
Davide di 16, su uno slittino creato
apposta per lei. I compagni di classe
la circondano, la aiutano, la invitano
alle feste: «Non bisogna pretendere di
fare le stesse cose con tutti allo stesso
modo e nello stesso momento: in
classe erano 25, tutti diversi. Lei non
parla ma usa l’iPad e a volte i bambini
copiavano da lei l’analisi grammaticale,
guardando che cosa schiacciava»,
racconta Giulia, che è andata in America
due volte insieme alla famiglia
di Cecilia per formarsi e conoscere
l’équipe che la segue lì, dove non mancano fisioterapisti, logopedisti e terapisti
occupazionali nelle scuole, come
figure di sostegno a chi sostiene.
«Cecilia costringe a un lavoro profondo
sul modo di intendere l’impegno
educativo», spiega Chiara Penzo, sua
educatrice per cinque anni, «Mi ha insegnato
a non fermarmi all’apparenza».
Continuità didattica, lavoro per obiettivi,
senza paura di modicare il tiro,
collaborazione e fiducia tra scuola e
famiglia, nuove tecnologie e aggiornamento
costante, questi gli ingredienti. E
poi tanto cuore, tanta empatia: «Ha
un carattere meraviglioso», dicono i
compagni. « È lei la più felice della nostra
casa», dice il fratellino Ariel mentre
la guarda camminare tra gli alberi.