PHOTO
Dopo il sostanziale fallimento della missione di peacekeeping Unimiss, l’Onu decide di mostrare i muscoli e sceglie di mandare in Sud Sudan una forza di 4.000 militari pronti a intervenire anche con la forza per proteggere i civili e per fermare le azioni belliche delle fazioni combattenti. La decisione è stata presa il 12 agosto dal Consiglio di Sicurezza, con 11 voti a favore, nessuno contrario e 4 astensioni. L’Onu intende così rafforzare la sua autorità in Sud Sudan, un paese che, dopo la dichiarazione di indipendenza del luglio 2011 (è di fatto lo stato più giovane del mondo), dal dicembre del 2013 è precipitato nella guerra civile. I 4.000 soldati che saranno mandati in Sud Sudan faranno parte di una “forza di protezione regionale africana" e si aggiungeranno ai 12.000 militari già presenti sotto la bandiera delle Nazioni Unite con la missione Unmiss (prorogata di altri 3 mesi).
Dallo scoppio della guerra civile i militari dell’Onu non sono stati in grado di assicurare la pace fra le forze fedeli al presidente Salva Kiir e quelle del suo rivale (ed ex presidente) Riek Machar. Le tregue faticosamente raggiunte sono state violate e l’ultimo accordo di pace fra i due ha mostrato la sua fragilità. Lo scorso aprile Machar era ritornato nella capitale Juba accolto dal suo rivale e aveva nuovamente assunto la carica di vicepresidente, ma in seguito sono ripresi i combattimenti e a luglio Machar è fuggito dalla capitale dopo un sanguinoso attacco alla sua residenza.
La guerra civile (resa di più feroce da insanabili rivalità etniche) ha provocato decine di migliaia di morti, ripetute violazioni dei diritti umani e una grave crisi umanitaria. Quasi 5 milioni di persone vivono in una situazione di insicurezza alimentare e 250.000 bambini soffrono di malnutrizione. Gli sfollati superano i 2 milioni. Molti di loro hanno cercato protezione nei campi gestiti dall’Onu (ma in alcuni casi ci sono stati gravi episodi di violenza anche nei campi), altri sono fuggiti nei Paesi confinanti (70.000 civili verso l'Uganda soltanto nell’ultimo mese).
Il voto del Consiglio di Sicurezza dell’Onu è stato duramente criticato dal governo sud sudanese. Un portavoce del presidente Salva Kiir ha dichiarato che il governo non intende collaborare con il contingente militare per “non lasciare il Paese nelle mani delle Nazioni Unite”. La risoluzione votata al Palazzo di Vetro non ha imposto, come voleva il Segretario generale BanKi-moon, un embargo alla vendita di armi al Sud Sudan. Tuttavia la possibilità di un embargo resta aperta se Salva Kiir si rifiuterà di collaborare con l’Onu.





