E' morto stamattina, a 74 anni, il vescovo di Rumbek, monsignor
Cesare Mazzolari, amministratore apostolico della diocesi di Rumbek, in
Sud Sudan, lo Stato che da poco è diventato indipendente con un
referendum staccandosi dal Sudan.
Mons. Mazzolari stava concelebrando la
Messa quando è stato colpito da un infarto. Proprio una settimana fa, sabato 9 luglio aveva partecipato alla cerimonia
per l’indipendenza del Sud Sudan.
Nato il 9 febbraio 1937 a Brescia, era entrato poi nei
Comboniani e il 17 marzo 1962 era stato ordinato sacerdote. Dopo aver
lavorato negli Stati Uniti tra le comunità di neri e messicani, nel
1981 si era stabilito in Sudan, diventando amministratore
apostolico della diocesi di Rumbek (Sud Sudan) nel 1990.
Nel 1994 fu vittima di un rapimento: catturato e tenuto in ostaggio per 24 ore dai guerriglieri dello Spla
(Esercito Sudanese di Liberazione Popolare), gruppo armato
indipendentista in lotta contro il governo di Khartoum. Era stato ordinato vescovo da papa Giovanni Paolo II il 6 gennaio
1999.
Pino Pignatta
«Chiediamo pace. Occorre affrontare il voto con serenità e responsabilità. Perciò domandiamo ai leader politici di evitare esasperazioni, tensioni e ostilità. Siamo nell'imminenza del referendum: dobbiamo affrontare pacificamente questi giorni cruciali per il futuro del nostro Paese, ma pensare anche al dopo: a mettere in pratica la volontà del popolo espressa col voto».
Abbiamo incontrato monsignor Cesare Mazzolari a Rumbek, nella diocesi che guida come vescovo dal 1999, nel cuore del Sud Sudan. Missionario comboniano, Mazzolari è nel Paese africano da poco meno di trent'anni, esattamente dal 1981. Ora si trova a vivere, con gli altri otto vescovi della Chiesa cattolica sudanese, uno dei momenti più delicati nella storia di questo immenso Paese: il 9 gennaio la popolazione delle regioni meridionali andrà alle urne per decidere se rimanere unita al Nord del Paese, arabo e musulmano, oppure se avviare la secessione e fondare il Sudan del Sud quale 54° Stato indipendente dell'Africa.
Il referendum è frutto degli accordi di pace del 2005, che hanno messo fine a una delle più cruente e sanguinose guerre del continente, costata tre milioni di vittime e durata 22 anni.
- Monsignore, la Chiesa è considerata molto schierata a favore della secessione.
«Non è così. Noi cerchiamo solamente di accompagnare la nostra gente in questo passaggio delicato», dice monsignor Mazzolari. «Nel nostro recente documento, redatto in occasione dell'incontro dell'ultima Conferenza episcopale sudanese di novembre, abbiamo scritto che comunque vada il voto il Sudan non sarà più lo stesso. Che le cose stiano cambiando profondamente lo si è visto già con le elezioni dell'aprile scorso: il 90% della gente del Sud ha votato per l'Splm (Movimento per la liberazione del Sudan) che per più di 20 anni si è battuto per l'autodeterminazione; e il 25% dei voti è andato a candidati donna, sia al Nord che al Sud. Un fatto straordinario, segno di profondi mutamenti in atto».
- E dopo il voto? Uno dei problemi è la mancanza di una leadership all'altezza della situazione.
«Dopo, il cammino sarà duro e faticoso, specie all'inizio. È vero che in diversi ambiti il Sud Sudan ha bisogno di costruire una classe dirigente, ma ci sono tanti giovani preparati che possono dare un importante contributo».
- Il vostro documento esprime preoccupazione per la gente e i cristiani del Sud che vivono al Nord. Quali sono i rischi?
«Le Chiese nel Nord sono già state maltrattate e calpestate. Cosa accadrà in caso di vittoria della secessione? E che ne sarà dei tanti sudisti che vivono al Nord? Già ora ci sono forti restrizioni. Chi vorrà tornare potrà farlo? Ci stiamo preparando all'emergenza che potrebbe verificarsi. Speriamo che non vi siano rappresaglie e ritorsioni. Tra la gente del Sud c'è molta euforia, slancio emotivo. Attendono da decenni l'autodeterminazione, che significa la fine dell'oppressione, dello sfruttamento, della mancanza d'identità. Hanno subito una guerra disumana e l'imposizione di una legge che non fa parte della loro identità culturale».
- Che cosa chiedete alla comunità internazionale?
«Di sorvegliare. Di essere presente. E di essere pronta all'emergenza del dopo voto: prevediamo un grande esodo».
- È vero che ci sono problemi di demarcazione del confine?
«Il confine correrà in linea di massima lungo il 12° parallelo. La principale area contesa è la zona di Abiey. La gente di quella regione è chiamata a votare un proprio referendum, per stabilire se vorranno stare col Nord o col Sud».
- Quanto pesa la questione del petrolio?
«Molto. Non stiamo dividendo popoli, stiamo dividendo un territorio, e anche le sue risorse. Il Nord perderà quasi tutti i giacimenti petroliferi più abbondanti, come pure le miniere di quarzo, marmo e altri minerali preziosi. Perderà il legname, l'agricoltura. Il Sud perderà la maggior parte dell'oro, che è a settentrione, come pure le infrastrutture. Entrambe le parti, in caso di secessione subiranno una prima fase di crisi economica. Ma la gente del Sud preferisce pagare il prezzo della povertà piuttosto che quello della libertà».
Luciano Scalettari
Ripubblichiamo il commento di monsignor Mazzolari, già uscito su Famigliacristiana.it il 29 dicembre 2010, al messaggio di papa Benedetto XVI per la Giornata mondiale della Pace.
«Con il suo messaggio per la Giornata mondiale della pace, Benedetto
XVI conferma in un modo paterno e alleviante la realtà della sofferenza e
la povertà del popolo nilotico del Sud Sudan. Che ha sofferto
incomprensione, se non aperta e cruenta persecuzione, per affermare la
sua diversità etnica e religiosa.
In Sudan la religione di Stato è
l’islam; l’attuazione della legge islamica (sharia) è una continua
minaccia alla pratica e al rispetto delle altre religioni nel nostro
Paese. Allo stesso tempo la parola del Santo Padre è di grande sostegno e
di caloroso incoraggiamento a tutti noi per vivere a fondo la più ricca
e fruttuosa della identità di qualsiasi popolo, anche di quello
sudanese, che è quella religiosa.
Noi sudanesi siamo definiti un popolo
"multireligioso", ma questo non corrisponde a verità perché siamo
marchiati dalla legge islamica. Per questo è positivo l’incoraggiamento
aperto e chiaro del Papa a vivere la propria identità religiosa
praticando con vera fede la propria religione. Nel suo messaggio il Papa
afferma e dimostra che le religioni hanno contribuito allo sviluppo
umano. Fa appello a tutti, soprattutto ai giovani, affinchè vivano i
valori cristiani, soprattutto la riconciliazione e la giustizia, non
solo per porre fine alla guerra ma anche per portare opere di pace
integrale.
Le parole del Santo Padre sono sempre attuali e al contempo
profetiche: per il popolo sudanese sono un calmante e un lievito, ci
danno speranza, fede e una nuova energia. Sono parole illuminanti per i
giovani, per gli anziani, per chi è al governo, per chi è povero e
sofferente, per chi ha una vita serena e per i nostri rifugiati che
aumentano ogni giorni di numero.
Il messaggio del Papa è energia nuova
per purificare ed elevare il nostro mondo in campo morale, spirituale e
culturale. Il richiamo al 25° anniversario dell’incontro di Assisi porta
un nuovo slancio alla prossima Giornata della pace, un nuovo slancio
verso la conquista della pace. Per noi sudanesi, che dopo 25 anni di
guerra non abbiamo ancora pace nei nostri cuori, questo messaggio è un
invito nuovo per la conquista di questa pacificazione nei cuori,
nell’identità e nella serenità che ci auguriamo possa venire presto al
popolo del Sudan».