A ridosso della decisione annunciata dalla Corte Costituizonale mercoledì 25 settembre. il presidente della Conferenza episcopale italiana (Cei), il cardinale Gualtiero Bassetti, aveva fatto un estremo appello al Parlamento affinché non abdicasse alla propria funzione legislativa e almeno avviasse «un iter di discussione della legge che potrebbe indurre la Corte stessa a concedere un tempo supplementare». La proposta è però caduta nel vuoto e la Consulta è tornata a riunirsi, dopo aver lasciato 11 mesi di tempo alle Camere per colmare il vuoto normativo, e, precisando le «condizioni», ha sancito l’illegittimità costituzionale della comparazione del suicidio assistito all’istigazione al suicidio, come definito dall’articolo 580 del Codice penale, invitando peraltro il Parlamento a colmare la lacuna normativa.
Sul tema aveva espresso la sua contrarietà il Papa in persona: «Si può e si deve respingere la tentazione – indotta anche da mutamenti legislativi – di usare la medicina per assecondare una possibile volontà di morte del malato, fornendo assistenza al suicidio o causandone direttamente la morte con l’eutanasia», aveva detto Francesco alla Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri.
E se la Cei già a caldo, aveva commentato con «sconcerto» la decisione della Corte costituzionale, oggi muove dalle parole di papa Francesco per affermare, in un comunicato, che il Consiglio episcopale permanente che si è svolto da lunedì 23 a mercoledì 25 settembre ha riflettuto sul «tentativo di introdurre nell’ordinamento italiano la liceità di pratiche eutanasiche. I Vescovi – sottolinea il comunicato – hanno unito la loro voce a quella di tante associazioni laicali nell’esprimere la preoccupazione a fronte di scelte destinate a provocare profonde conseguenze sul piano culturale e sociale. Consapevoli di quanto il tema si presti a strumentalizzazioni ideologiche, si sono messi in ascolto delle paure che lacerano le persone davanti alla realtà di una malattia grave e della sofferenza. Hanno riaffermato il rifiuto dell’accanimento terapeutico, riconoscendo che l’intervento medico non può prescindere da una valutazione delle ragionevoli speranze di guarigione e della giusta proporzionalità delle cure.
Alla Chiesa sta a cuore la dignità della persona, per cui i pastori non si sono soffermati soltanto sulla negazione del diritto al suicidio, ma – sottolinea la nota – hanno rilanciato l’impegno a continuare e a rafforzare l’attenzione e la presenza nei confronti dei malati terminali e dei loro familiari. Tale prossimità, mentre contrasta la solitudine e l’abbandono, promuove una sensibilizzazione sul valore della vita come dono e responsabilità; cura l’educazione e la formazione di quanti operano in strutture sanitarie di ispirazione cristiana; rivendica la possibilità di esercitare l’obiezione di coscienza, rispetto a chi chiedesse di essere aiutato a morire; sostiene il senso della professione medica, alla quale è affidato il compito di servire la vita».
«Il medico esiste per curare le vite, non per interromperle», ha chiosato in conferenza stampa monsignor Stefano Russo, segretario generale della Cei, ricordando che «il Codice deontologico dei medici non prevede questa possibilità». Il presule ha detto che «è anomalo che un pronunciamento così forte e condizionante sul suicidio assistito arrivi prima che ci sia un passaggio parlamentare», e, in vista di un pronunciamento parlamentare, ha affermato: «Saremo attenti e vigilanti a tutela della vita delle persone, soprattutto di chi si trova in situazioni di disagio, di difficoltà, di malattia». Mons. Russo ha precisato che «è difficile parlare di una frattura» tra Stato e Chiesa: «Siamo sempre stati attenti al dialogo», ha detto il vescovo, ma «avvertiamo la necessità di farci prossimi alla vita della gente». E di fronte al rischio di «una deriva della società, dove il più debole viene indotto in uno stato di depressione e finisce per sentirsi inutile», mons. Russo ha espresso l’auspicio che «ci siano dei paletti forti» nella futura normativa.
Tra le altre decisioni prese dal «parlamentino» dei vescovi italiani in questi giorni, alcuni adattamenti del sistema dei Tribunali ecclesiastici italiani per implementare la riforma dei processi di nullità matrimoniale voluti dal Papa; un incremento di 20 euro della remunerazione mensile dei sacerdoti, valore fermo al 2009; la nomina di un laico, Vincenzo Corrado, ex direttore del Sir, a direttore dell’Ufficio nazionale per le comunicazioni sociali della Conferenza episcopale italiana (monsignor Ivan Maffeis rimane il portavoce). E, infine, sullo sfondo di un dibattito sull’ipotesi di un Sinodo per l’Italia, «rimane – si legge nel comunicato del consiglio permanente – la proposta di assumere la sinodalità come stile e come evento, sullo sfondo del primo convegno ecclesiale del 1976», un evento recentemente citato dal gesuita Bartolomeo Sorge sulla Civiltà cattolica.