Gli All Blinds di Roma alla premiazione in Campidoglio. Nella foto di copertina: la squadra in campo. Le foto sono di Eva K. Kosloski.
«Eravamo
sotto di quattro punti: all’ultimo inning stavamo perdendo 7 a 3 e
invece abbiamo vinto 8 a 7, una rimonta quasi impossibile e forse la
più bella vittoria della stagione. È stata una partita decisa
all’ultimo lancio ed era solo la semifinale, arrivati in finale ci
sentivamo invincibili».
Alfonso Somma, capitano degli All Blinds di Roma, non può
dimenticare la semifinale giocata contro i Lampi di Milano, attuali
Campioni d’Italia, che ha aperto le porte della finale contro i
Thunders 5 di Milano e spianato la strada verso la Coppa Italia 2013.
Siamo sul diamante,
così viene chiamato il campo da baseball, ma non è la Major League
Usa o lo Yankee Stadium di New York, bensì Bologna dove si sono
giocate semifinale e finale della Coppa Italia di quest’anno
dell’Aibxc, l’Associazione Italiana Baseball per Ciechi, uno
sport nato una ventina d’anni fa. «La
prima partita è stata disputata nell’ottobre 1994 a Casalecchio di
Reno tra i Bologna White Sox e l’Aquilone Empoli Red Sox.
Quest'anno celebriamo il ventennale»,
dice Alberto Mazzanti, presidente dell’Aibxc, intervenuto a Roma in
occasione della premiazione della squadra degli All Blinds per la
Coppa Italia appena vinta, nella sala della Protomoteca in
Campidoglio. Premiazione voluta dall’Assessore alla Qualità della
Vita, Sport e Benessere Luca Pancalli.
In questa immagine e nelle successive: momenti delle fasi di gioco.
Le fasi sono le stesse del baseball classico
È un gioco che nasce
dalla volontà di ex giocatori di caratura mondiale come quelli della
mitica Fortitudo di Bologna degli anni ’60 e ’70, tra loro in
particolare Alfredo Meli, scomparso tre anni fa, che vinse con la
Fortitudo tre Scudetti e una Coppa Campioni.
«La
prima cosa che fece per adattare il baseball ai non vedenti»,
continua Somma, «fu quella
di togliere il lanciatore perché per noi era impossibile colpire al
volo. La palla viene messa in gioco un po’ come nel servizio del
tennis, è lo stesso battitore a tenerla con una mano e battere con
l’altra, in gergo viene detto “fungare”. La dinamica è molto
simile a quella del baseball classico con degli adattamenti, ad
esempio la prima base è dotata di un clacson sotto al cuscino per
indicare al battitore la direzione verso cui correre. Il giocatore
deve aggirare la prima base e dirigersi subito verso la seconda, dove
c’è in posizione leggermente arretrata un assistente che batte
delle palette di legno sempre con lo scopo di indicare la direzione.
L’udito è un senso fondamentale per questo sport. La palla messa
in gioco per essere buona deve cadere in una porzione di campo dove
sono schierati i difensori della squadra avversaria e all’interno
della palla ci sono dei sonagli per aiutare a localizzarla, questi
quando la prendono lanciano verso l’unico giocatore vedente che si
trova in seconda base e deve riceverla. Le fasi sono le stesse del
baseball classico, con le squadre che si alternano in difesa e
attacco a ogni inning, si cambia inning ogni tre giocatori
eliminati».
Tutti giocano con una mascherina sugli occhi.
«La
fase che preferisco è quella di attacco»,
aggiunge Matteo Salandri, che gioca negli All Blinds, «e
in particolare il tratto tra prima e seconda base perché è
completamente libero da ostacoli e si può raggiungere la massima
velocità. I giocatori hanno tutti una mascherina sugli occhi, sono
cioè bendati, questo perché è possibile che alcuni abbiano un
residuo visivo maggiore di altri ed è necessario uniformare
l’abilità di tutti».
Luca Pancalli, assessore allo Sport e presidente del Comitato italiano Paralimpico, consegna la Coppa Italia 2013 ad Alfonso Somma, capitano degli All Blinds.
Gli atleti diversamente abili sono prima di tutto atleti.
«L’associazione
del baseball per ciechi è stata trasferita all’interno della Fibs,
Federazione Italiana Baseball e Softball»,
dice l’assessore Luca Pancalli, nonché presidente del Comitato
Italiano Paralimpico, il Cip, durante la cerimonia di premiazione, «e
questo è un risultato di cui sono soddisfatto: va sotto il segno di
un’attività normalizzante riconducendo le federazioni sportive
paralimpiche sotto le stesse federazioni dei normodotati, pur
mantenendo la loro specificità. Lo sport è sempre sport, e gli
atleti diversamente abili sono prima di tutto atleti. Voi siete
l’esempio che quando ci viene data la possibilità di esprimerci
nelle nostre disabilità siamo in grado di fare cose inimmaginabili,
dimostrando a una società civile spesso disattenta il diritto di
tutti a esprimere le proprie possibilità. Così partendo dal nulla
avete realizzato qualcosa di grande».
Il campionato italiano è composto da otto squadre.
«Oggi
il Campionato italiano è composto da otto squadre e c’è una
notevole attività anche a livello internazionale»,
spiega Mazzanti. «La più
grande cosa che avete fatto è stato vivere la vita in modo diverso,
ci avete insegnato che non c’è disabilità se non nella testa e
che tutto può essere normale».
Gli All Blinds fanno
parte della Polisportiva Uici di Roma di cui è presidente Marco
Guardati: «Questi ragazzi
hanno sacrificato il loro tempo per lo sport»,
dice, «venendo agli
allenamenti con il freddo e con il caldo, sporcandosi di fango,
sudando e prendendo l’influenza. A loro e ai volontari va il mio
ringraziamento».
Essere allenatore di una squadra così può dare grandi soddisfazioni.
C’è anche il punto
di vista degli allenatori, rappresentati da Fabio Azzaro, ex
giocatore di baseball, che spiega come allenare questi ragazzi sia
un’attività di frontiera: «Sul
baseball classico c’è un know how e una quantità di letteratura
spaventosa, soprattutto dagli Stati Uniti. Per il baseball giocato da
ciechi no, e quindi ogni movimento, ogni cosa va inventata e
perfezionata, c’è molta sperimentazione dal punto di vista
sportivo. Ad esempio, lo stesso movimento di battuta, che normalmente
è orizzontale, sta subendo notevoli variazioni: molti giocatori
hanno provato un movimento diverso, dall’alto verso il basso, che
dà risultati migliori. Inoltre l’udito è fondamentale, eppure
allenarlo è difficile, non c’è una tecnica collaudata. Come si
fa? Questo è davvero un territorio di frontiera e quello che
scopriamo dal punto di vista sportivo può avere delle sinergie con
la ricerca per la vita quotidiana, per migliorare la risposta
sensoriale. Senz’altro posso affermare che essere allenatore di una
squadra così può dare grandi soddisfazioni».