Raul Montanari, nato a Bergamo nel '59, ha vissuto la sua primissima infanzia a Castro, vicino a Lovere. Ama e conosce il lago d'Iseo e vi ha ambientato alcuni suoi romanzi tra cui Chiudi gli occhi (Baldini e Castoldi). Come tutti i "lacustri" ha molta paura delle acque del lago e guarda da lontano l'opera di Christo che in questi giorni è al centro del mondo. Ma il suo giudizio è positivo.
«Ho trovato meschine la maggior parte delle critiche. O comunque interessate. Alle spalle dell'opera artistica dei Floating Piers c'è un'operazione finanziaria molto originale. Come spesso capita con questo tipo di artisti, Christo si è autofinanziato chiedendo prestiti alle banche che ha poi ripagato vendendo i suoi bozzetti. Ed è strano che qualcuno si sia lamentato dicendo che questa opera non è di tutti perché non è stata pagata con i soldi pubblici. Ben venga, invece, il fatto che non è stato sprecato neanche un centesimo».
Le immagini di questi giorni mostrano una vera è propria invasione di folla. Perché tanto successo?
«Perché quest'opera è concepita come una festa, una grande festa barocca dove tutti sono invitati a partecipare. Inoltre, siamo di fronte a un'operazione straordinaria. Sappiamo che l'arte, non solo quella contemporanea, solitamente viene messa sotto bacheca per non essere neanche sfiorata. Christo, invece, in questo caso invita la gente proprio a farlo. E non con le mani ma, addirittura, con i piedi che sono la parte più umile del corpo perché toccano la terra. Toccare con i piedi un'opera d'arte è un gesto in apparenza di disprezzo che si rovescia, grazie a lui, in un gesto sacro. I Floating Piers rappresentano un'operazione in cui si sente moltissimo il senso del sacro».
Christo si rivela quindi un artista molto popolare?
«Ha sempre lavorato sul concetto di grandezza. Nelle arti visive tutti gli artisti contemporanei, pensiamo a Cattelan, diventano qualcuno, cioè bucano la cortina di ciò che è pensato per gli addetti ai lavori e diventano pop, quando al centro della loro opera mettono un'idea semplice e primitiva. Nel caso di Cattelan è la provocazione. Nel caso di Christo c'è la grandezza. E' presente in tutte le sue opere. Ci affascina perché tocca la nostra parte bambina, quella componente più sollecitata dal fattore estetico. Nella scala dei valori i bambini mettono le cose grandi al di sopra di quelle piccole ("il mio papà ha la macchina più grande... è più alto di me..."). In noi resta l'idea che quando una cosa è grande, o alta, vale più di una piccola o bassa. Christo con la sua semplicità possente genera stupore e parla a emozioni primitive e profonde».
E' sicuramente una grande opportunità per il Lago d'Iseo?
«Questa installazione ha creato un corto circuito geografico molto positivo perché ha toccato un lago, quello di Iseo, che nella compagnia dei quattro grandi laghi prealpini è sicuramente il fratello minore. Non solo per dimensioni. C'è qualcosa di poco dolce nel lago di Iseo, di particolarmente aspro che non ha mai favorito il turismo. E' un po' il piatto dai sapori forti, quello che risulta più indigesto. Basti pensare che la compagnia di navigazione lacustre che cura i battelli dei grandi laghi (Maggiore, Como e Garda) non ha qui un distaccamento. Per lui ce n'è una propria con battelli tra l'altro più modesti. I Floating Piers hanno messo il Lago di Iseo sulla mappa e sono sicuro che ci sarà una ricaduta anche dal punto di vista turistico. E' anche vero che l'opera si trova comunque nella parte più turistica, quella bresciana con Montisola. Sarebbe stato ancora più sbalorditivo vederla nella parte bergamasca, quella più aspra e dura. Quella della mia infanzia. Ma era fisicamente impossibile».