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mercoledì 07 giugno 2023
 
Roma
 

Al Bambino Gesù la campanella continua a suonare

26/01/2019  E' stata la presidentessa dell'ospedale pedriatico del Papa Mariella Enoc a dare la buona notizia della guarigione del piccolo Alex con questo rito: un altro passo avanti nel segno della lotta alle malattie rare di un centro d'eccellenza mondiale

L’ha suonata Mariella Enoc la campanella. E mille e mille volte ancora la presidente del Bambino Gesù vorrebbe farlo, per annunciare che un bambino è sulla via della guarigione. È Alex Montresor, 22 mesi, il piccolo dimesso il 24 gennaio, faccino rotondo e occhioni azzurri che hanno commosso milioni di italiani: la malattia genetica esplosa all’improvviso ad agosto, aveva mobilitato negli scorsi mesi migliaia di persone che, rispondendo all’appello lanciato dai genitori su Facebook, si erano messe in fila per iscriversi negli elenchi di donatori di midollo osseo.

 

«Abbiamo vissuto con grande partecipazione la vicenda di Alex», ha commentato Mariella Enoc, «così come quella di tutti i bambini che accogliamo nel nostro ospedale. Oggi viviamo un momento di grande gioia perché Alex torna a casa, ma non dimentichiamo i bambini che non ce l'hanno fatta e che conservano un posto speciale nel nostro cuore insieme ai loro genitori». Enoc mantiene la promessa e suona la campanella donata dalla presidente del Senato, riprendendo un piccolo segno che lega i piccoli malati di Roma a quelli messicani. Era stata infatti la primera dama del MessicoAngélica Rivera de Peña,durante la sua visita al Bambin Gesù, in marzo, a raccontare che ogni volta che un bambino guarisce nell'ospedale pediatrico "Federico Gomez" di Città del Messico viene suonata una campanella. La vicenda di Alex, dice Enoc, ha «avuto un pezzo di storia in più», rispetto a quella di altri piccoli pazienti: «La mobilitazione straordinaria intorno a questa vicenda ha sensibilizzato al valore del dono», ha mostrato il volto dell’Italia migliore. «Lavoriamo tutti insieme nella prospettiva del bene dei bambini».

La patologia genetica che ha colpito Alex (nome scientifico Linfoistiocitosi Emofagocitica), «si manifesta un caso ogni 5mila nati», ha spiegato in conferenza stampa Franco Locatelli, direttore del Dipartimento di oncoematologia e terapia cellulare e genica dell’ospedale. «In Italia siamo sui 10-12mila bambini all’anno». Per un difetto delle cellule del sistema immunitario l’organismo reagisce con una risposta infiammatoria eccessiva. «Il bambino stava malissimo, aveva infiammazioni alla milza e al fegato, valori ematici completamente sballati e non c’era neanche la possibilità di dargli farmaci per fare abbassare la febbre», ha ricordato il papà Paolo. «La nostra vita non è più stata la stessa dal 28 agosto, quando Alex era ricoverato a Londra nel picco della malattia, con la febbre a 40. I medici si consultavano tra ospedali, ma ci sembrava di essere nel buio totale».

Dopo aver cercato invano un donatore compatibile, trasferito a fine novembre al Bambino Gesù di Roma dall'Ospedale Great Ormond Street di Londra (dove la famiglia vive), Alex è stato sottoposto il 20 dicembre a trapianto di cellule staminali emopoietiche prese dal papà. Manipolate e infuse nel bambino, a distanza di 1 mese dal trapianto hanno perfettamente attecchito, ripopolando adeguatamente il sistema emopoietico e immunitario. Nell'arco delle 4 settimane successive al trapianto non si sono registrate complicanze e alla luce di questi risultati i medici hanno deciso di sospendere il farmaco salva-vita (emapalumab), che teneva sotto controllo la malattia regolando le reazioni del sistema immunitario, e quindi di dimettere il bambino. «Siamo soddisfatti del percorso trapiantologico del bambino, che al momento è stato perfetto» ha commentato Locatelli. Quanto al decorso «nelle prossime settimane andrà monitorato accuratamente il completamento del processo di ricostituzione immunologica, così come il persistere di un attecchimento completo delle cellule paterne. I rischi ai quali i pazienti di questo tipo possono andare incontro dopo la dimissione sono principalmente legati allo sviluppo di complicanze infettive». Per questa ragione il bambino verrà strettamente controllato periodicamente presso il Bambin Gesù. «La storia di questo bambino», ha aggiunto il medico è «un esempio virtuoso di collaborazione, nel contesto del sistema sanitario nazionale, tra istituzioni accademiche e company farmaceutiche specializzate in approcci di estrema sofisticazione biotecnologica». Per la ministra della salute, Giulia Grillo, «la vicenda di Alex deve aiutare a rendere viva la consapevolezza dell'importanza del sistema sanitario pubblico come diritto di tutti i cittadini da tutelare».

Stremato, pallido - «Soffro di insonnia e dormo tre ore per notte» - in conferenza stampa il padre di Alex, Paolo Montresor, ha ringraziato «tutti quelli che ci hanno aiutato e in particolare i tantissimi giovani che si sono messi in fila per donare il midollo osseo decidendo di dare una speranza a noi e a tanti malati che, come il nostro piccolo, aspettano il trapianto. Sarebbe bello», aggiunge anche a nome della moglie, che è rimasta accanto al bambino a casa di un conoscente che li ospita a Roma, «un mondo in cui tutte le persone malate trovino più di un donatore. Forse la nostra famiglia ha dato un piccolo contributo ad aumentare la cultura della donazione del midollo osseo facendo capire che non è invasiva e non mette in pericolo».  «Il successo ottenuto in questo caso dalla donazione da genitore», conclude il professor Locatelli, « nulla toglie all'importanza dell'azione di sensibilizzazione per l'incremento dei donatori di midollo osseo nel Registro italiano. Potenziare il Registro Italiano è strategicamente cruciale per ottimizzare le possibilità di cura con il trapianto. Il caso di questo bimbo dimostra solo che si può avere una soluzione efficace, in centri qualificati e ad alta esperienza, anche per quei pazienti che non possiedono un donatore non consanguineo compatibile».

Quanto ad Alex «sta bene e gioca con le macchinine, che adora», ha detto il padre. E, al Corriere della Sera che chiedeva cosa immagina farà suo figlio da adulto, ha risposto convinto: «Credo che Alessandro, quando sarà grande, farà il medico. In questi mesi trascorsi in ospedale ha preso confidenza con molti strumenti. Il suo preferito è lo stetoscopio, gli piace giocarci, se lo appoggia sul petto, sulle spalle».

 

 
 
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