«Nelle Scritture leggiamo che il Signore dice che ci chiama dal grembo materno. Credo che questo sia vero. Il Signore infatti ci prepara attraverso circostanze e persone diverse a quella che sarà la nostra vocazione». Inizia così il racconto della sua chiamata suor Serena, milanese classe 1947, entrata a 31 anni nelle Missionarie della Carità, la congregazione femminile fondata da Madre Teresa. Prima era una professoressa di Lettere nelle scuole medie. «Sono cresciuta in una famiglia cattolica praticante, seconda di due figli, tuttavia ho impiegato parecchio tempo per riconoscere quella chiamata e soprattutto per capirla nei suoi dettagli», precisa la religiosa. «La prima indicazione è stata il forte desiderio che ho scoperto in me di aiutare i poveri nelle loro necessità materiali, fino alla consapevolezza che ai poveri non potevo dare solo il superfluo, solo un “mezzo servizio”, ma un servizio a tempo pieno». Così decide di andare in Africa come missionaria laica per alcuni mesi: «Un’esperienza che, secondo i miei piani, avrebbe dovuto continuare. Ma il piano di Dio era diverso. Madre Teresa cominciava a essere conosciuta nel mondo per il suo lavoro con i poveri. Leggendo alcuni articoli sui giornali e libri sulla sua opera, quello che mi attraeva in modo particolare era il suo condividere la povertà dei poveri».
CHIAMATA INASPETTATA
Non avendo mai considerato prima di quel momento la possibilità di entrare in un istituto religioso, la trentenne va a Roma, dove all’epoca esisteva l’unica casa delle Missionarie della Carità in Italia, per chiedere informazioni sui collaboratori di Madre Teresa. «E qui accadde l’imprevisto. Mi resi conto che il Signore mi chiamava a condividere la loro vita. La chiamata era veramente reale. Il fatto stesso che mi rifiutassi di accettare quell’invito era il segno che la chiamata esisteva. Con l’aiuto della Madonna, trovai il coraggio di dire il mio sì, di abbandonarmi alla volontà di Dio, anche senza capire. La fede è sempre un salto nel buio: e ho trovato il tesoro». Nel maggio del 1981, sempre nella capitale, la professione dei voti: «Il nome Serena, il mio nome da religiosa, l’ho scelto per ricordare quel dono particolare della serenità che la Madonna mi ha fatto». È stata poi assegnata a diverse missioni in Spagna, Italia, Mongolia, Calcutta, con la carica di superiora regionale in Russia e in Venezuela. Nel dicembre dello scorso anno è tornata nella casa romana di San Gregorio al Celio, dove è impegnata nel lavoro della postulazione generale della causa di canonizzazione. «La mia esperienza di missione più forte è stata senza dubbio quella della Mongolia», racconta. «Quando abbiamo aperto la prima casa, in tutto il Paese non esistevano cristiani, non c’erano chiese. Gesù era semplicemente uno sconosciuto. Questa è una delle più grandi povertà. Per noi una delle più grandi gioie: quella di poter portare Gesù per la prima volta a persone che non lo conoscevano». Dubbi, crisi, ripensamenti? «Gesù non mi ha dato mai occasione di pentirmi», risponde sicura.
LA GUIDA DELLA MADRE
I suoi incontri con la «matita di Dio» sono avvenuti tutti dopo l’ingresso nella congregazione: «La prima volta a Londra, quando ero un’aspirante e stavo imparando l’inglese. Ero preoccupata, perché non sapevo ancora parlare fluentemente. La Madre cominciò con alcune domande semplici, spiegandomi che il motivo principale per entrare nella congregazione non era il servizio ai poveri, ma l’appartenere completamente a Gesù. All’improvviso la interruppi, perché con mia grande meraviglia mi accorsi che stavo comprendendo le sue parole senza alcun problema. “Madre”, le dissi, “generalmente non riesco a seguire le conversazioni in comunità, ma ora con lei sto comprendendo tutto perfettamente”. E lei mi rispose sorridendo: “Perché la Madre parla con la semplicità del Vangelo”. Quella che potrebbe sembrare un’asserzione presuntuosa riflette, al contrario, la sua grande umiltà. Era convinta che fosse Dio ad attuare in tutto il suo lavoro e che le sue parole fossero di Gesù. Ciò spiega anche il fatto che, nonostante ripetesse spesso le stesse frasi nei suoi vari discorsi in pubblico, queste avevano sempre una forza e un’efficacia straordinarie, e sempre sapevano raggiungere e commuovere i cuori degli ascoltatori. Questa perfetta unione è frutto della sua radicale ed eroica obbedienza, per mezzo della quale fu capace di svuotarsi per dar posto a Gesù».
TUTTO PER IL SERVIZIO
Vivere con Madre Teresa, ricorda suor Serena, «significava usare le 24 ore del giorno senza sciupare un minuto. Trovava il tempo per tutto: per la preghiera, il lavoro, la corrispondenza, gli incontri, il riposo, la ricreazione, ma non per l’ozio. E il tutto non si svolgeva in modo frenetico, ma con una calma e una serenità assolute. Non rimandava mai al domani quello che poteva fare oggi e, quando vedeva una necessità, il suo ringraziamento a Dio spesso anticipava la richiesta. Alcuni potrebbero pensare che il comportamento e il modo di vivere dei santi siano diversi da quelli delle persone, per così dire, “normali”, e che pertanto sia facile riconoscerli. Non è sempre così, perché ciò che è veramente unico e speciale in loro è molto spesso tenuto nascosto».
L’ultima volta che sister Serena ebbe l’occasione di stare con la fondatrice delle Missionarie della Carità fu in Russia, agli inizi degli anni Novanta, «in occasione di un ritiro spirituale per tutte le superiore della regione, tenuto a Mosca. Io dovevo tornare in Siberia. Com’è nostra usanza, ogni volta che le suore partono, nella cappella viene intonata una canzone di buon viaggio (“Dio si prenderà cura di te”). Avevamo già cantato e io stavo aspettando il collaboratore che mi avrebbe portato all’aeroporto. La Madre mi vide e mi disse, con quel sorriso scherzoso e con quello sguardo furbo con cui a volte le piaceva sorprendere le persone: “Vieni, vieni, che cantiamo un’altra volta!”. Mi prese per mano, mi portò in cappella e cominciò da sola a intonare il canto. Poi mi diede ancora una volta la sua benedizione: non potevo immaginare che quello sarebbe stato il mio ultimo incontro con lei! Ciò che ho provato in quel momento è di essere la sua figlia prediletta, speciale, unica. Ma so per certo che questa è la stessa esperienza di tutti coloro, religiosi o laici, che hanno avuto l’occasione di incontrarla personalmente anche per soli pochi minuti. Tutti erano speciali, unici e prediletti ai suoi occhi, come tutti siamo speciali, unici e prediletti agli occhi di Dio».