Prima di uscire di casa c’è chi guarda il cielo, chi getta un occhio distratto al telefonino o alla tv: pioverà? porto l’ombrello?, sono le domande che ci accompagnano nei giorni incerti. A volte anche una app sul traffico può aiutare a programmare meglio la giornata. Suor Carol guarda invece l’applicazione Missile di Hawk, dal nome degli ordigni che cadono su Damasco e dintorni. Dove stanno bombardando ora? Che strada posso percorrere? Quale quartiere è più sicuro? «La guerra ti cambia la quotidianità, ti sconvolge la vita: adesso viviamo giorno per giorno sempre con la paura di non tornare a casa». A suor Carol Tahhan Fachakh, salesiana, è stato assegnato, dal Dipartimento di Stato degli Stati Uniti, il premio internazionale Donne coraggiose 2017 per il lavoro che con le sue consorelle continua a svolgere nella capitale della Siria. Non è certo il coraggio la virtù che le manca: «Tante volte i bambini sono rimasti a scuola, fino alle 5-6 di sera, perché i genitori non potevano venirli a prendere dopo uno scoppio. Spesso li abbiamo riaccompagnati noi. Una volta ho guidato io, rischiando la loro e la mia vita. Ma non si può fare meno di così».
Nelle foto che la ritraggono con Melania Trump, suor Carol è sorridente, un po’ intimidita. «Ho ringraziato. Per me è stato importante andare negli Stati Uniti. Capire che c’è anche lì tanta gente che questa guerra non la vuole. Proprio come noi», dice la religiosa. Il premio lo dedica soprattutto alle missionarie che continuano a lavorare e servire la Siria nonostante le ambasciate dei loro Paesi abbiano chiuso e consigliato a tutti gli stranieri di fare la valigia e tornare a casa. «Io sono siriana, per me è normale aiutare la mia gente».
LA CHIAMATA
La storia di Carol inizia 46 anni fa ad Aleppo. Figlia di una famiglia cristiana, greco-cattolica, frequenta regolarmente la parrocchia, insieme al fratello. Collabora come volontaria all’associazione Fede e luce, di Jean Vanier. Con il padre George, morto due anni fa, nasce un’intesa particolare. Ed è a lui, che − mentre il suo percorso di studi scientifici progredisce, dal liceo alla facoltà di Scienze, fino alla cattedra di Chimica all’università − Carol rivela il desiderio di una vita essenziale, povera. La madre sogna i nipotini dall’unica figlia femmina ma Carol, con la complicità paterna, comincia a frequentare una serie di esperienze vocazionali per trovare la sua strada. «Le Salesiane non le consideravo perché pensavo fossero troppo ricche: grandi palazzi, strutture enormi». Ed è invece proprio l’incontro con una figlia di Maria Ausiliatrice − in uno dei quartieri più poveri di Aleppo, Jabal El Saydeh, che in italiano vuol dire «la montagna della Madonna», oggi completamente distrutto dalla guerra − che alla fine le aprirà gli occhi. «Ho incontrato suor Nabila a una Messa domenicale. Mi ha colpito il fatto che partecipasse alla liturgia aiutando il parroco in tutto: leggeva, faceva la chierichetta, raccoglieva le offerte, seguiva i ragazzi. Non c’è nessuno che può darle una mano?, mi sono chiesta». Quando poco dopo è andata a conoscere Nabila, la religiosa le ha dato la risposta che cercava: «Tu cosa sei disposta a fare?».
“FOLGORATA” A DAMASCO
Carol inizia così a collaborare e, dopo aver provato l’ennesima esperienza vocazionale – «sono fuggita dopo tre giorni da un corso di una congregazione dove, invece di parlarmi del carisma, mi mostravano le sistemazioni di cui avrei goduto» –, stanca di dire bugie a casa e di girare a vuoto, prende in considerazione l’invito di Nabila: «Vai oltre il pregiudizio. Le strutture che noi Salesiane abbiamo sono a disposizione dei ragazzi. Comunque vieni e vedi».
Così parte per Damasco e “prova” anche con le Salesiane. «Mi sono guardata attorno con attenzione. E la cosa che più mi ha affascinato sono state le mani di suor Helda, un’anziana missionaria, consumate dal lavoro». Inoltre la colpisce il cammino intrapreso con altre due ragazze «per la serietà della proposta e la preghiera non formale eppure profonda che le religiose condividevano. Alla fine della settimana mi sono detta: Signore ho trovato qui il mio tesoro». Il 14 settembre 1999, festa dell’Esaltazione della Croce, entra in noviziato. Tra la sofferenza della madre, del fratello e la gioia del padre. Il quale, nel 2003, quando Carol fa la sua professione religiosa, le rivela: «Oggi mi sono svegliato presto per andarmi a confessare: devo essere degno anche dentro per poter festeggiare con te».
Per tre anni Carol presta servizio in Libano come assistente all’asilo. Nel 2006, quando nel Paese scoppia la guerra, la religiosa − che in quel momento si trovava ad Aleppo in vacanza dai genitori – viene dirottata all’ospedale italiano di Damasco. «Nella capitale abbiamo due comunità: una si occupa dell’ospedale, l’altra della scuola». Quando la guerra raggiunge anche la Siria, Carol, che nel frattempo era diventata preside e poi direttrice della scuola, capisce che il tipo di servizio cambia. «Prima lavoravamo con l’ambasciata per i rifugiati iracheni. Con la chiusura delle ambasciate la collaborazione è passata con l’Alto commissariato per i rifugiati dell’Onu (Unhcr) e i rifugiati sono diventati gli stessi siriani».
LA SCUOLA E LA SARTORIA
Nella scuola, che accoglie oltre 200 bambini tra cristiani e musulmani, parte anche un progetto per insegnare musica: «Hanno visto e subìto tanta violenza psicologica, alcuni hanno perso la capacità di parlare. Vogliamo far percepire ai bambini un’atmosfera sana e la musica aiuta tanto».
Ai locali scolastici si affianca una sartoria per le donne. Un progetto che all’inizio coinvolge 14 persone, che negli anni diventano 100, con 300 in lista di attesa. «Il corso è serio, offre una qualifica riconosciuta dall’Unhcr, e si chiude con il dono di una macchina da cucire, cosicché le donne possano iniziare un lavoro per proprio conto». Chi non ha più una casa può lavorare in un locale che le Salesiane hanno attrezzato e dove arrivano anche delle commissioni. «Con la nostra rete di relazioni riusciamo anche a procurare un po’ di lavoro, a finalizzare le cose apprese, a dare un aiuto alle famiglie». Anche perché, spiega la religiosa, se i «primi due anni di guerra si sentiva paura, adesso, dopo l’attacco ad Aleppo, è anche arrivata la vera povertà: Aleppo era la capitale del commercio, grazie alle fabbriche da dove veniva la ricchezza. Adesso che è tutto distrutto sentiamo la povertà».
Una situazione che accomuna cristiani e musulmani. «In Siria c’è sempre stata un’ottima convivenza. Ora stanno andando via tutti e alcuni fanatici sono rimasti. Ma restano sorpresi quando vedono che la nostra sartoria accoglie anche musulmane. In questo modo diamo una testimonianza di apertura, che molti apprezzano». E a scuola? «A chi mi chiede se insegno religione rispondo che spiego che Dio è amore, così trasmetto i nostri valori cristiani. I musulmani sono sicuri che non facciamo proselitismo e mandano volentieri i loro bambini».
La guerra e la propaganda incombono su tutto. La domenica della Palme è stata celebrata in tono minore, silenziosa la Pasqua. Ma la comunità cristiana l’ha vissuta percependo una forte comunione: «Paradossalmente», conclude Carol, «la guerra, oltre a povertà e morte, ci ha portato la grazia di testimoniare una Chiesa unita».
IL LIBRO. LA PROFEZIA DI DALL’OGLIO
«Paolo camminava su due strade – quella del mistico e quella dell’uomo – che si accompagnano a due grandi passioni: per la sua Chiesa e per il dialogo con l’islam. È in questa duplicità che riesce a comunicare con chi avverte il bisogno religioso e con chi sente l’urgenza del fare sociale, di lavorare per i diritti umani». Così il giornalista Riccardo Cristiano ha ricordato padre Paolo all’Oglio presentando il libro La profezia messa a tacere (Edizioni San Paolo). Il testo, curato da Cristiano, mette in luce l’impegno sociale e dialogante del gesuita, del quale non si hanno notizie dal rapimento in Siria, il 29 luglio del 2013. Alla presentazione, il 29 maggio a Roma, è intervenuta la sorella di padre Paolo, Immacolata. «Nonostante il silenzio assoluto e le evidenze, continuiamo ad assumerci il rischio di sperare per lui». «Paolo è un esempio dello stare sulle frontiere, ha vissuto con coerenza la sua chiamata, il suo essere per il dialogo con tutta la vita», ha aggiunto padre Federico Lombardi, che ha curato l’introduzione del testo. «Lo sento molto presente come credente, dialogante. L’incontro con lui è davanti a me, a noi, come, dove, quando sarà».
Foto di Stefano Dal Pozzolo/Contrasto